Perché non trastullare o frastornare le nostre capacità visive con l’opera di Chiara Boniardi? A questa domanda si potrebbero dare varie risposte, compresa quella solita: ”E perché no?” Così incauti ci siamo avventurati a nostro rischio nella visione delle sue opere per verificare se la nostra impressione era sbagliata, ma non lo era.
Chiara Boniardi è scultrice dai primi anni ’90, laureata all’Accademia di Brera con lode, instancabile, ha al suo attivo mostre e iniziative in tutta Italia con puntatine verso l’Europa.
La sua è una interpretazione dell’Arte minimalista sporcata dai materiali usati, spesso scarti, parti di oggetti contorte, riassemblate ma anche levigate e fatte appositamente. Usa prevalentemente il metallo e il plexiglass.
Alla ricerca di un suo linguaggio estetico, non sempre riesce nell’impresa di reinterpretare quando di non ricopiare oggetti già visti, già creati nel lungo percorso che il Minimalismo ha intrapreso dagli anni ’60 ad oggi.
L’Arte minimalista per quanto possa sembrare semplice è in realtà una forma molto complessa di elaborazione formale di nuove strutture bidimensionali o tridimensionali e non è certo facile raggiungere l’originalità, essenziale affinchè abbia un senso, con forme elementari.
La Boniardi crea le sue sculture solitamente rivelatrici nel titolo delle sue intenzioni, ma raramente ci stupisce, raramente ci propone qualcosa di non già pensato. Le sue strutture sono spesso formulate in modo ovvio se inserite nel contesto artistico del ‘900 e anche se non è questo di per sé un difetto, danno l’impressione di mancare di quella forza espressiva che serve per far assumere ad assemblaggi minimali la caratteristica di scultura di valore.
Riassuntiva di tutta la sua produzione è forse una delle sculture più interessanti, “Inutil Decoro” (in cui potremmo scorgere una allusione sessuale, certo non lusinghiera per chi l’ha ispirata) dove le due parti dell’opera sembrano avere una funzione che possa cambiare a seconda della loro posizione, si scopre poi, come in molte altre sue opere, che il cambiamento è in verità appunto “inutile”.