Tra gli impressionisti Claude Monet (1840-1926) è forse quello che più si è spinto verso una pittura innovativa proiettandosi oltre la pittura che già al suo tempo, assieme a quella dei suoi compagni di avventura stilistica, sembrava rivoluzionaria.
La pittura di Monet sembra in effetti mantenere i canoni di quella impressionista, fatta di pennellate che rompono la forma e descrivono soprattutto la luce e il suo effetto sui colori. Caratteristica di Monet che è presente in tutti i pittori impressionisti è la pittura “en plain air”, la visione degli esterni, una pittura non costruita ma immediata, vivace e fugace. Ma Monet si spinse oltre, proiettato alla ricerca di qualcosa di cui sentiva ormai il bisogno o alla quale tendeva, qualcosa a cui sarebbero arrivati, certo un cinquantennio dopo, altri artisti e che non poteva essere ignorato e sarebbe stata tappa fondamentale, irreversibile della storia dell’Arte di tutti i tempi: l’Astrazione.
I germogli ancora incerti dell’Astrazione erano in Monet più forti che in ogni altro impressionista, se inizialmente non se ne avverte la presenza, col passare del tempo, nell’opera di Monet si nota un crescendo che solo la morte potè trattenere dal trasformarsi in Astrazione pura.
Nel 1883 a 42 anni, verso la metà della sua carriera, Monet si ritirò nella sua casa di Giverny, qui dipinse il laghetto del giardino giapponese da lui appositamente studiato, contornato di vegetazione e adornato di innumerevoli ninfee in circa 250 tele. Sarà stato forse il ripetere lo stesso soggetto, cosa che Monet faceva spesso anche in altri luoghi, che fece scattare la molla mentale affinchè si affinasse la sua concentrazione sul colore, sulla luce, arrivando ad escludere quasi totalmente l’attenzione per il disegno e l’oggetto, soggetto principale dell’opera.
Si arriva così al primo ciclo delle ninfee, dipinte tra il 1889 e il 1904, ma è il secondo ciclo delle ninfee che ci appare forse il meno decorativo ma il più interessante, dove i verdi e gli azzurri si fondono in una miriade di pennellate e dove è spesso il titolo a rivelarci il soggetto del quadro, altrimenti non individuabile. Come Nicolas De Staël e Mondrian ma decine di anni prima e forse non in piena coscienza della sua trasformazione pittorica, Monet era partito da una forma precisa per poi andare oltre scoprendo che la percezione visiva può fare a meno di un soggetto preciso e che questo può essere solo una partenza per rappresentare non più la realtà ma la nostra percezione emotiva, non più attraverso una figurazione naturale di riferimento.
Apoteosi della percezione pittorica di Monet è la “Sala Ellittica dell’Orangerie”, una rappresentazione circolare del suo soggetto preferito donata dall’artista nel 1918, dove il colore si perde nella vastità dello spazio e le figure appena accennate rivelano tutta la loro essenza esistenziale.
L’evoluzione pittorica di Monet era quasi giunta all’Astrazione, mancava il distacco conscio che avrebbe concretizzato nella totalità della sua esistenza artistica, il percorso da pittore di realtà “en plai air” a pittore dell’Astratto.
Grazie per le meravigliose foto e informazioni che mi invii .
Mi identifico sempre di più, in esse,come in uno specchio, la faccia della mia anima, una descrizione di segni particolari della mia esistenza. Opere, che riflettono la mia vera opera, come in un documento da artisti, come solo un Artista da fare.sii felice tutto il giorno ed anche domani.
Grazie Claudio per l’apprezzamento