Eugène Delacroix (1798- 1863) fu pittore esponente del Romanticismo francese. Amico di Theodore Gericault, ne riprese lo spirito e l’attrazione per la rappresentazione equestre.
La prima parte dell’opera di Delacroix colloca al centro della rappresentazione soggetti politici presi dall’attualità come la guerra d’indipendenza greca, dalla quale trasse l’ispirazione per varie opere tra cui la drammatica rappresentazione della tragedia “Il Massacro Di Scio” del 1824.
Un’altra importante influenza fu quella di Peter Paul Rubens da cui riprese soggetti divenuti famosi nei suoi quadri. “Caccia Alla Tigre” del 1854 e “Caccia Al Leone” dell’anno successivo sono chiaramente ispirate alla precedente “Caccia Al Leone” di Rubens del 1621 da cui fu ispirato anche per le altre successive rappresentazioni di battaglie equestri.
Inviato nel 1832 come diplomatico in Marocco, fu affascinato al tal punto dall’ambientazione che realizzò sul posto più di cento fra dipinti e disegni.
“Collisione Di Cavalieri Arabi” del 1844 è un’opera in cui la libertà espressiva di Delacroix si unisce splendidamente con la colorazione viva e la sua capacità di dotare i soggetti di quella carica emotiva vibrante che lo contraddistingue.
A differenza di Gericault che preferiva una rappresentazione più definita nel dettaglio ed un contorno netto delle figure, Delacroix sfuma il disegno con pennellate vive per esaltarne il movimento, componendo un incastro anatomico che si fonde nelle morbide ombre, evitando quell’effetto del movimento “pietrificato” tipico di una pittura più definita.
L’altra caratteristica immancabile nelle sue battaglie è la capacità di rendere attori principali i cavalli, dotandoli di una comunicativa predominante rispetto ai personaggi umani. La cura dei lineamenti della testa e dello sguardo è evidentemente accentuata rispetto al resto, sono loro incaricati di trasmettere lo stato emotivo dell’opera mentre gli esseri umani, come automi, combattono meccanicamente.
La capacità di rappresentare l’anatomia scomposta dei cavalli in pose ardite, è notevole in Delacroix, dimostra in questo una facilità ed una sicurezza che gli permettono di gestire le composizioni delle sue battaglie con pennellate vibranti e sicure, non limitandosi alla cura dei soggetti ma ampliando l’estensione della capacità descrittiva degli eventi, illuminandoli di luci intense ed ombre cupe. La luce quasi caravaggesca esalta l’azione in contrasto con le ombre finemente modulate che rivelano i dettagli nascosti e non disdegnano i rossi e gli aranci caldi per definirne le rotondità.
I cavalli bianchi di Dealcroix sorgono dai grovigli anatomici in cui sono immersi, risplendono, se ne distaccano lentamente attraverso graduali tonalità di colore, emergono dal paesaggio, più fumoso e rarefatto. Il contorno è accennato e se già le figure centrali sono dipinte con pennellate sfumate per aumentare il senso del movimento, gli spazi marginali lo sono ancora di più, affinchè non dominino come presenza scenica.
La sensibile capacità di modulazione cromatica addolcisce il contrasto dei colori preferiti da Delacroix: il marrone, Il rosso , il bianco sono uniti da quantità infinite di velature castane che avvolgenti, amalgamano la struttura del quadro, evitando la cura dei dettagli ininfluenti.
Il quadro, forse non tra i più conosciuti, riassume perfettamente lo stile e la volontà rappresentativa di Delacroix che libero da precostituite costruzioni strutturali, dovute alla necessità di caricare le opere con significati politici o sociali, si permette di dipingere esclusivamente per il gusto di una rappresentazione emotiva, sanguigna, carica di energia, mostrando così esclusivamente la vera essenza della sua pittura.
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Artista interessante nel panorama indiano anche se a noi può sembrare scontato perchè ha riportato soggetti tipici in un linguaggio occidentalizzato, sintetizzando le forme, trasformandoli in qualcosa che ricorda la produzione iconica di matrice europea.