Graffitaro, milanese classe 1972, comincia ad imbrattare muri nell’ ‘88 e si fa tutta la gavetta artistica in strada, con le bombolette spray in mano e l’occhio vigile, fino ad arrivare alla 54° Biennale di Venezia del 2011.
I suoi quadri si distaccano ormai dal puro stile writer, sono un intreccio di tecniche: spray, colori di vario genere, collage di sottofondo, colature, spennellate grossolane e velature, tutto quello che si può ricercare in un quadro astratto contemporaneo. Innovativi? No. Originali? Nemmeno.
Non si può dire che i quadri di Marco “Kayone” Mantovani siano qualcosa di impensato, sorprendente, mai visto, anzi, la caratteristica dei suoi lavori di artista affermato ex writer, è proprio quella di dare forma a ciò che può essere definita l’idea archetipo del quadro astratto.
Vedendo i suoi quadri si ha la sensazione di un “déjà vu ”, una concretizzazione del concetto astratto maturato attraverso i vari Pollock, Kandinsky, Rauschenberg, un pizzico di Mimmo Rotella e la pennellata grossa di Arman, mischiati, riadattati riscaldati nel calore dei più contemporanei anni del nuovo millennio, illuminati da tinte brillanti e accostamenti di tonalità rubati alla moderna grafica pubblicitaria.
Piacevoli, disordinatamente ordinati nella composizione, materici quanto basta, Kayone trasporta lo spirito del writer su tela, scanzonato, libero, colorato, allegro. Non c’è traccia però della critica di un Banksy, del genio pazzo di un Keith Haring, dell’incosciente coraggio di un Thierry Noir che dipingeva il muro di Berlino al riparo dallo sguardo dei cecchini, se c’era, adesso non c’è più o è ben nascosto.
Restano delle tele piacevoli, frutto di quella che era la “Milano da Bere” piuttosto che della Milano nascosta, in cui furtivo, Marco Mantovani dipingeva i suoi primi murales, sfoggiando il suo spirito ribelle, la sua voglia di emergere, di portare colore là dove era sporco e buio.
I colori elettrici, le sgocciolature materiche nascondono, dietro un senso di appagamento estetico, l’assenza di spirito creativo, sostituendolo con una sintesi della pittura astratta, gradevole, raffinata, decorativa, ma che lascia però quel retrogusto amarognolo di “déjà vu”. Interessante? Sì. Bello? Sì. Innovativo, geniale? No.