L’Arte italiana degli anni ‘80

L’Arte italiana degli anni ‘80

Lucio Fontana – Soffitto Con Arabesco Di Neon – 1951

Vuoto. Non si può che descrivere così l’attività artistica di quegli anni rispetto al periodo precedente e la quantità di mezzi espressivi messi a disposizione con l’avvento delle nuove tecnologie . La musica leggera, pop dominava, rigorosamente importata dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra al punto che italiani, francesi, tedeschi si camuffavano dietro nomi anglosassoni per proporsi alle masse discotecare. Sopravvivevano i cantautori nostrani del decennio precedente. Il cinema inzuppato di guerra fredda ci riempiva dei vari Rocky e Rambo, c’era molto da raccontare.

Giorgio De Chirico – Il Trovatore – 1939


L’arte figurativa era moribonda. Con alle spalle una cultura ed effervescenza innovativa multiforme, l’Arte sonnecchiava. Futurismo di inizio secolo, Cubismo, Arte Concettuale, Arte Povera, Spazialismo, Metafisica, movimenti che hanno fatto fragore nel panorama artistico mondiale si ritrovavano a fare i conti con la Pop Art di Warhol, importata come la musica dall’America, che imponeva a noi la loro cultura delle scatolette di zuppa e le bottiglie di Coca Cola come simbolo del consumismo e di un’identità made in USA a noi che, come simbolo culturale abbiamo il David, La Gioconda, il Colosseo e qualche decina di millenni di storia artistica in più.

Andy Warhol – Campbell’s – 1965

Tano Festa rispose così ad un mercato che preferiva la Pop Art alla buona pittura, la ricerca, l’innovazione, proponendo la sua “Testa di Adamo” ripresa dalla Cappella Sistina e dipinta sullo stile di Warhol nel 1978, dimostrando che sul piano culturale non c’era gara:

“Mi dispiace per gli americani che hanno così poca storia alle spalle, ma per un artista italiano, romano e per di più vissuto a un passo dalle mura vaticane, popolare è la Cappella Sistina, vero marchio Made in Italy”.

Tano Festa – Adamo – 1978

Ma la contaminazione era ormai iniziata e il colpo inferto all’Arte europea e Italiana sul finire degli anni ‘70 fu duro. Forti della loro potenza politica ed economica, già negli anni ’60 i mercanti imponevano Roy Lichtenstein che intendeva far passare i fumetti di metà ‘900 come Arte, Claes Oldenburg con i suoi “panini giganti” (”Green Salad” 1962), James Rosenquist e i suoi puzzle pubblicitari, George Segal con le sue sculture, in realtà semplici calchi in gesso.

Roy Lichtenstein – M-Maybe – 1961

E gli italiani? Affascinati più dalle leggi di mercato che dalla validità artistica degli esponenti del nuovo continente, Rotella, Festa, Schifano, Angeli ne seguivano la scia reinterpretando a loro modo il concetto Pop ed arrivavano secondi.

Mario Schifano – Coca Cola – 1961
Franco_Angeli_Pittore_1976
Franco Angeli – Half Dollar – 1976

Infine Keith Haring arrivava in Europa con il suo linguaggio stilizzato adatto alla pubblicità e ai cartelli stradali o a quelli che indicano la toilette.
Con tutto questo sfacelo culturale alle spalle, l’attività degli artisti italiani negli anni ’80 ha una forte crisi di identità. Sopravvivono in sordina i grandi maestri del dopoguerra, ma soprattutto i pittori figurativi, fedeli a se stessi: Guttuso, Sassu, De Chirico e gli scultori che al contrario non conoscono carenza creativa, Pomodoro, Manzù, Messina.

Renato Guttuso – Nudo Sdraiato – 1982

La fine del boom economico lascia un’Italia preda dell’effimero, l’apparenza domina sulla sostanza. la Fiat sovvenzionata dallo stato, continua il traino della nazione, il sud è a secco di fondi che partiti, non arrivano mai. Il debito si accumula, i politici governano tra corruzione e le feste dei salotti della Roma bene. Il risultato sarà l’azzeramento di una condizione difficilmente sostenibile: “Mani pulite” farà un minimo di chiarezza.


L’Arte strapazzata negli anni precedenti, negli anni ’80 non dà segno di rinvenire. Non c’è traccia di tutto questo, non c’è un Grosz, una Nuova Oggettività tedesca a documentare gli avvenimenti, non c’è un Fellini dell’Arte figurativa, non c’è una voce critica, l’Arte è anch’essa effimero, apparenza, Arte d’importazione, Guttuso tra i pochi, attento ai cambiamenti sociali del nostro contemporaneo, predica nel deserto.

Renato Guttuso – Funerale di Togliatti – 1972

Il culmine dell’assurdo si raggiunge nel 1990 Quando Geff Koons diventa l’artista contemporaneo più famoso al mondo con il suo “Made In Heaven”, la mostra fotografica-pittorica che ci ripropina un prodotto “made in Italy”, Ilona Staller la pornostar in arte “Cicciolina” fotografata nuda in tutte le posizioni come se gli adolescenti di mezza Europa e non solo, non fossero già a conoscenza di ogni suo più nascosto lembo di pelle.

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Jeff Koons – Made in Heaven – 1990

Si dovrà arrivare ad un periodo di riscoperta della figurazione, al riapprezzare la buona pittura negli anni 90’ per ritrovare uno spirito soggettivo indipendente a cui neanche l’utilizzo dei nuovi mezzi comunicativi come i computer aveva giovato.

L’arte Italiana così riprende il suo cammino fino al ritorno della sperimentazione, con i suoi traumi stilistici, l’avvento delle performance come parte essenziale del percorso artistico globale, le istallazioni, fino ad arrivare con Maurizio Cattelan ad un riappropriamento delle radici territoriali, ad un ‘Arte che parla di noi, del “nostro” contemporaneo.

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Maurizio Cattelan – La Nona Ora – 1999

Uno dei pochi tra i molti artisti o presunti tali che non continuano una ricerca estetica fine a se stessa, spesso ripresa dal passato o importata dall’esterno, oppure in casi fortunati, semplicemente atta a destare l’attenzione con trovate provocatorie o allusioni sessuali.

10 Risposte a “L’Arte italiana degli anni ‘80”

  1. Il piacere supremo, quando ho ritrovato qui il mio quadro di Franco Angeli.
    Complimenti per la scelta, la stessa del MAGA di Gallarate, quando mi ha chiesto di poterla esporre in uno dei Musei di Arte Contemporanea più belli. Naturalmente ho accettato con l’entusiasmo che chiunque può immaginare.
    Prima del commiato, anche i Complimenti per il Blog. Illuminante!
    Grazie per quello che fate e per come lo fate. Francesco.

  2. Grazie per i complimenti, a mio parere il quadro a cui si riferisce (Franco Angeli – Half Dollar – 1976) è la testimonianza della costatazione dell’invasione artistica americana ormai eclatante che oltre ad avere in mano le sorti economiche dell’Italia, si apprestava a cercare di impossessarsi anche della sua cultura cercando di imporre la propria. Un documento storico oltre che un pezzo artistico.

  3. Come si fa a scrivere che si è dovuto aspettare Cattelan? negli anni Ottanta ci sono la Transavanguardia, Salvo, gli anacronisti e tutta una serie di altri artisti che segnano il mercato e la programmazione dei musei.

  4. Mi cito: ” l’attività degli artisti italiani negli anni ’80 ha una forte crisi di identità. Sopravvivono in sordina i grandi maestri del dopoguerra, ma soprattutto i pittori figurativi, fedeli a se stessi”.

    Tra questi, inserirei gli artisti della Transavanguardia, movimento che ha riscoperto la figurazione ma usandola per una descrizione della propria interiorità, artisti solitamente occupati a guardarsi dentro, con rare eccezioni spinti a narrare la realtà contemporanea.
    Di questo io volevo scrivere, di un’Arte in cui non c’era traccia della guerra fredda e di una trasfigurazione della politica sempre più collusa con l’economia privata, di un’ Arte che non accennava al suo contesto sociale ma si concentrava sulla sola vitalità emotiva dell’artista. L’arte made in U.S.A. era l’America, l’Arte italiana non era calata nella contemporaneità che viveva l’Italia perchè l’Italia era invasa dalla cultura U.S.A.. Ecco perchè ho scritto che non c’era un Grosz, un Fellini della pittura, l’Arte italiana, sopraffatta da quella d’importazione restava imprigionata, arroccata nella descrizione della propria sfera emotiva. Nei Transavanguardisti era veramente raro qualsiasi tipo di riferimento ad immagini contemporanee, quasi le identificassero con una cultura Pop aborrita e che sentivano estranea.
    Non c’era ad esempio la visione contemporanea contestuale futurista, non c’era la gioiosa inventiva post bellica intrisa di oggetti di uso comune ispirata dal boom economico dell’Arte Concettuale e dell’Arte Povera. Tendenzialmente, qualsiasi riferimento al tempo presente, salvo rare eccezioni, nelle Transavanguardie era escluso.
    La Transavanguardia cresceva come movimento artistico ma si distaccava dalla descrizione del proprio spazio e del proprio tempo, per questo ho scritto che l’Arte italiana era in crisi di identità.
    Non posso che confermare tutto quello che ho scritto.

  5. Questo articolo dimostra il patriottismo becero tipico dell’italiano medio, seppur gli italiani di sufficiente cultura lo capiscano per fortuna: che chiaramente l’italocentrismo nell’arte è solo un prolungamento delle ciance da bar durante la partita…

  6. Era inevitabile soprattutto dopo la guerra e dopo il piano firmato da De Gasperi che gli U.S.A. contaminassero artisticamente l’Italia, la loro economia era ormai entrata in simbiosi con la nostra, così la loro cultura. Stranamente assieme a quella americana è penetrata anche una visione artistica mitteleuropea emigrata negli U.S.A. e di seconda generazione. Il cognome dei genitori di Warhol, era Varchola (qualcuno potrebbe vedere nell’assonanza con CocaCola il motivo della fissa per certi suoi soggetti, la parte mancante del suo cognome). Quello che forse può essere definito il massimo esponente della Pop Art era in realtà molto poco americano ma ancora molto slovacco.
    Schiacciata da questo ingente e contraddittorio afflusso di innovazioni ma soprattutto di capitali, l’Arte italiana la assorbiva, con risultati a volta discutibili ma è innegabile che è sopravvissuta, si è innovata e sta superando le tendenze all’imitazione o alla rielaborazione. Oggi sono molti gli artisti italiani che hanno grande fama negli U.S.A. Il mercato è una cosa…l’Arte un’altra.
    Il mio pensiero è che per capire quale sia il valore dell’italocentrismo nell’Arte, bastava andare in Piazza della Signoria a Firenze quando ci fu messa l’opera di Jeff Koons, l’artista più quotato al mondo. Per chi c’è stato la conclusione era evidente: il riferimento universale dell’Arte è ancora qui.

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