Il Laocoonte è un complesso scultoreo in marmo databile secondo gli esperti intorno al 1° secolo a.c. ritrovato nel 1506 sui colli romani.
L’attribuzione è incerta, ma prevale l’identificazione degli autori in Agesandro, Polidoro e Atanodoro di Rodi, tesi avvalorata dagli scritti di Plinio che ne accerta la presenza in loco dal 42 a.c.
Lo splendido manufatto sembra però avere origini più antiche almeno nella progettazione, si ha notizie di una scultura in bronzo del 150 a.c. di cui si è perso le tracce che gli scultori greci avrebbero poi riprodotto in marmo.
Questa tesi è avvalorata dalla struttura dell’opera che secondo gli esperti rivelerebbe stratagemmi per aumentare la maggiore stabilità e uniformità della colata non sempre funzionali alla composizione.
Qualunque sia l’origine del progetto “laocoontiano”, la scultura di fattura pregevolissima influenzò notevolmente gli artisti dell’epoca al punto che si pensa sia all’origine della fortunata corrente manierista sviluppatasi a Roma nel periodo del suo ritrovamento.
Tra gli artisti che ne restarono impressionati ci fu sicuramente Michelangelo che presenziò al ritrovamento.
Incantato dalle possenti masse muscolari, ne trasse ispirazione per i suoi lavori futuri, interpretando la figura umana in quell’ottica che fu poi definita “gigantismo michelangiolesco“.
“Il Mosè”, “Le Prigioni”, “Il Giorno”, “La Notte” sono sculture in cui si ritrova tutta la possanza laocoontiana, assente nelle opere antecedenti al 1506 come “Il Bacco”, “La Pietà”, “Il David”.
Nel 1906 fu rinvenuto il mancante braccio destro del Laocoonte, fu quindi fatta chiarezza sulla sua posizione effettiva, argomento oggetto di discussione tra gli artisti 400 anni prima, di cui solo Michelangelo aveva intuito l’esatta posa.
Queste concomitanze di eventi che vedono intrecciarsi la storia del Laocoonte con quella di Michelangelo e la leggendaria fama che accompagnò lo scultore nella sua prima attività d’artista, hanno dato vita a teorie quantomeno bizzarre.
Si deve sapere che il giovane Michelangelo Buonarroti già nella bottega fiorentina del Ghirlandaio un po’ per burla, un po’ per motivi economici iniziò a creare copie o nuove sculture facendole passare per antiche.
Era infatti più remunerativo vendere una scultura come antico reperto storico piuttosto che come manufatto di giovane e sconosciuto artista.
Di quel periodo, resta famosa e documentata la vendita al cardinale Raffaele Riario dello stupendo “Cupido Dormiente” che, invecchiato ad arte, fu creduto un autentico pezzo greco-romano. Scoperta la beffa, lo stesso cardinale volle conoscere personalmente il giovane Michelangelo che confermò di essere l’autore della scultura. In breve divenne famoso e l’anno dopo gli fu commissionata dal cardinale francese Jean de Bilhères “La Pietà”.
Alla luce di questi avvenimenti, la ricercatrice americana Lynn Catterson ha formulato una teoria secondo la quale Michelangelo era uso alla pratica della produzione di sculture antiche false e continuò il suo commercio anche dopo le prime affermazioni artistiche personali. Una sua teoria che sfiora la fantascienza si spinge fino a sostenere che anche lo splendido Laocoonte era in realtà un falso, scolpito da Michelangelo, invecchiato ad arte e poi venduto a chi lo avrebbe fatto ritrovare.
E’ indubbio che lo stile di Michelangelo ha moltissime assonanze con la scultura dei tre maestri di Rodi: la meticolosa descrizione della potenza muscolare impegnata nello sforzo di liberarsi dalla morsa del serpente marino, la scapigliata eleganza della barba e dei capelli, la posa contorta che ricorda “Le Prigioni” , la maestosità del petto finemente cesellato nella caratterizzazione dei muscoli addominali e pettorali che ricordano l’altrettanta splendida figura del “Giuliano De’ Medici” del 1534, sono alcune caratteristiche che ritroviamo anche nell’opera dello scultore fiorentino.
Ma la finezza dello scolpito nelle due figure raffigurante i figli è decisamente classica, nella delicatezza dei torsi di fanciulli, nella definizione dei lineamenti, che nell’espressione di sgomento assumono come quelli del Laocoonte, sembianze sgraziate, magistralmente alterate, fino a giungere alla vette naturalistiche dello stile ellenistico.
I tre autori indicati dagli storici ci presentano inoltre una capacità notevole di individuare le vene evidenziate negli arti quali testimoni della tremenda tensione a cui sono sottoposti, differenziandosi da Michelangelo che mai le accenna se non nelle mani possenti e virili.
Degna di nota è la costruttiva modellazione delle ginocchia che in primo piano non possono non colpire lo spettatore. Anatomicamente enfatizzate nelle rotule che sembrano scoppiare, gonfie sotto la pelle, si distaccano dalla versione solita michelangiolesca che le scolpisce invece più piene e rotonde.
Si ha effettivamente la sensazione che il Laocoonte sia stato scolpito da almeno due mani diverse se non dalle tre a cui è stato attribuito dalla quasi totalità degli storici dell’Arte.
La fantasia spazia e rifiuta le leggi della imperversante razionalità inducendoci a formulare teorie azzardate, imponderabili che se anche sono inesatte, ci lasciano in bocca il dolce sapore della rinnovata scoperta che tutto può essere possibile, almeno nelle nostre menti.
Così uniamo ai molti misteri michelangioleschi quest’ultimo, quel suo gusto discutibile e ingiustificato di non finire i suoi lavori, oppure di cominciarli in blocchi di marmo così piccoli da non permettere l’intera realizzazione dell’opera ed anche i vari bozzetti in creta ( “Torso Virile 1 e 2″ , “Nudo Femminile” del 1513 ) di pregevole fattura che non si sono mai concretizzati in opere definitive, almeno tra quelle conosciute …. E se … anche questi fossero stati fatti per quella serie di opere che imperterrito, Michelangelo spinto dalla bramosia del facile guadagno avrebbe confezionato per i falsi archeologi romani?
Ipotesi azzardata? Fantasia? Sogno? Non è forse l’Arte fatta della materia dei sogni?
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