Tintoretto – Venere, Vulcano E Cupido – 1560

Tintoretto – Venere, Vulcano E Cupido – 1560

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Tintoretto – Venere, Vulcano e Cupido – 1560

Venere, Vulcano E Cupido” è un dipinto del Tintoretto (Venezia, 1518- 1594) del 1560.
Il suo nome era Iacopo Comin, chiamato anche Robusti, soprannome ereditato dal padre, ma passò alla storia come Tintoretto, sempre a causa del padre che esercitava il mestiere di tintore di panni. Crebbe come allievo di Tiziano con cui ebbe un rapporto vivace fino all’insanabile conflitto.

Nel guardare questo capolavoro non si può che meravigliarsi per l’accurata composizione ma soprattutto per la qualità nella risoluzione non tanto delle anatomie, quanto dell’impostazione e della pittoricità di luci ed ombre.

Tintoretto ci ha abituato a questa sua predisposizione, le sue opere non sono curate nel dettaglio ma tendenzialmente rallegrano la visione dello spettatore nella totalità, essendo dipinte con grande maestria nel dosare quella qualità artistica che è definita “genio”.

Analizzando il quadro, si scopre un non curato disegno anatomico, nel volto della Venere dal naso troppo affilato e puntito, nelle sue gambe, nella fattura della spalla piena e mascolina, nella mano di Vulcano in primo piano forse troppo piccola ma… chi si sofferma a guardare questi particolari? Il braccio di Vulcano in secondo piano è troppo grosso e anche il ginocchio anatomicamente sembra voler richiedere un restauro urgente, tanto è grossolano nella fattura. Ma chi li nota?

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Tintoretto – Venere, Vulcano e Cupido (particolare) – 1560

Incantati dalla magia della pittura del Tintoretto, l’ultima cosa che ci sogniamo di guardare è l’anatomia.

Che importa se il piccolo Cupido sembra un nano dalla testa troppo piccola e le membra cadenti per l’età, chi si cura del bacino di Venere mal definito, del suo ginocchio piatto, dell’altro trascurato e sciatto.
La magia dell’opera è appunto questa, nonostante la trascuratezza dei dettagli presi a sé, funziona, non solo, colpisce, non si può non definirlo un capolavoro.

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Tintoretto – Venere, Vulcano e Cupido (particolare) – 1560

Forse per i colori ocra e per il rosso che li incornicia? Forse per la stupenda, misteriosa visione della marina sullo sfondo, tetra e bellissima tutta da interpretare?

Effettivamente l’impatto cromatico gioca un ruolo importante nell’approccio emozionale all’opera, ma è proprio dall’emotività scaturita dalle pennellate grosse e vigorose del Tintoretto che veniamo affascinati. Intrappolati in un turbine passionale in cui la pittura non è più costruzione o sfoggio di nozioni di grande scuola, sentiamo arrivare direttamente dall’animo dell’artista la qualità descrittiva.

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Tintoretto – Venere, Vulcano e Cupido (particolare) – 1560

Le velature scomposte e nervose originano un seno palpitante e morbido, dove l’occhio può spaziare a completare la visione nel modo che meglio crede, lo stesso accade per le gambe e il torso di Vulcano che ci mostrano la potenza emotiva del Tintoretto, più forte e carica di sentimento di un qualsiasi quadro rifinito fin nei minimi dettagli. La fantasia dell’osservatore spazia a riempire i sottintesi pittorici lasciati dal Tintoretto, le mani, il volto barbuto e i pochi capelli di Vulcano, sembrano vividi e pulsanti nella loro indefinita fattura che si perde fra le ombre.

La delicatezza della scena è sottolineata dalla modalità pittorica che amalgama lo stile alla trama, esaltando la robusta presenza di Vulcano, sottolineata dallo stile pittorico vigoroso e tenebroso, contrapposto alla luminosità di Venere, affusolata tra le ombre impercettibili, scevre di ogni forte contrasto tonale.

Tintoretto ci parla dei suoi personaggi attraverso le sue pennellate e con queste ne illustra l’emotività prima ancora della scena.

Degni di nota i drappi rossi dipinti con la morbidezza palpabile del velluto.

Infine, come un cameo, c’è la scena sulla destra.

Probabilmente, il personaggio sul carro che solca il cielo verso il basso è Fetonte, il figlio di Apollo e Climene che per dimostrare di essere degno di suo padre, volle guidare il carro del sole. Il cielo nuvoloso o forse fumoso, è il possibile frutto dell’incendio che provocò l’inesperto auriga avventurandosi troppo in alto e bruciando la volta celeste, dando origine a quella che poi fu chiamata la Via Lattea.

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Tintoretto – Venere, Vulcano e Cupido (particolare) – 1560

Nel dipinto, Fetonte è raffigurato mentre punta in basso, dopo aver dato fuoco anche alla Libia, trasformandola in un deserto. Fu poi abbattuto da Giove adirato, nei pressi di Crespino, città sul fiume Eridano, nome greco del Po.

La scena è un chiaro ammonimento al putto dio dell’ amore Cupido. La madre Venere e il consorte Vulcano, se ne dovranno prendere cura ed istruirlo nei suoi compiti, evitando il ripetersi di sventure simili a quelle in cui è incappato il figlio di Apollo rappresentato a fianco.

Assolto il compito di illustrare una delle interpretazioni possibili del carro alato, possiamo tornare a sottolineare la pittura del Tintoretto, contrastata nel rendere evidente la potenza del vecchio Vulcano e la delicatezza che mostra nell’accudire l’infante Cupido, morbidissima invece nelle indefinite gambe della bionda Venere e in tutta la figura della dea, raffigurata mentre porge la minuscola faretra da accoppiare all’arco in miniatura già nella mano del fanciullo.

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Tintoretto – Venere, Vulcano e Cupido (particolare) – 1560

Un ritratto familiare bellissimo se solo la mitologia classica non ci riportasse che Cupido era sì figlio di Venere, la sposa di Vulcano ma che , come dicevano gli antichi romani : “Mater semper certa est, pater numquam”.

P.S. Per gli amanti dei misteri, il Tintoretto ne regala uno: la testa dell’auriga dipinto sul carro nel cielo che non sembra aver a che fare nè con gli uomini, nè con gli dei.

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Tintoretto – Venere, Vulcano e Cupido (particolare del carro nel cielo) – 1560

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