Francesco Queirolo – Il Disinganno – 1754
Tra i molti tesori della Cappella San Severo di Napoli c’è questa bellissima scultura Rococò, “Il Disinganno”, scolpita da Francesco Queirolo (1704-1762) nel 1754.
Il Queirolo partì da Genova alla volta di Roma, dove apprese le tecniche rococò dal maestro Antonio Corradini ed ebbe incarichi e commissioni per monumenti di prestigio.
Elaboratissima nello stile e nei significati, “Il Disinganno“ fu scolpita su ordinazione del principe di Torremaggiore Raimondo Di Sangro, in ricordo e onore del padre Antonio, fuggito da Napoli quando la moglie dandolo alla luce morì.
Travolto dal dolore visse nella lussuria e nel peccato finchè in tarda età ritornò a Napoli dal figlio dove si convertì e fece vita monastica. Tra i tanti significati di cui nei secoli si è caricata questa scultura, ce ne sono altri massonici, esoterici, tutti legati allo svelamento di una verità, alla visione raggiunta infine della retta via, come fu per il Di Sangro. La frase scritta a didascalia infatti ben si presta a queste interpretazioni:
“Vincula tua disrumpam Vincula tenebrarum et longae noctis quibus es compeditus ut non cum hoc mundo damneris”
ovvero “Romperò le tue catene prigioni delle tenebre e della lunga notte dalle quali sei impedito affinché tu non sia condannato insieme con questo mondo”.
Al di là di questo, la scultura è magnifica per la difficoltà che subito si ravvisa nel modellarla, non tanto nel corpo dell’uomo che con difficoltà cerca di uscire dalla rete avviluppante dove è appena bastevole e sufficiente, nè nella barba e nella capigliatura ben accennata, nemmeno nel putto alato che indica con posa leggera la sfera ai suoi piedi, simbolica della vita mondana, mentre con l’altra mano lo aiuta a liberarsi, quanto nella rete stessa, costellata di una miriade di nodi e grovigli che solo il pensarli fa girare la testa.
Il Queirolo, li scolpì tutti nel giro di un anno, con mano sapiente e paziente, coadiuvato dalla progredita tecnica settecentesca e da attrezzi da scultore più efficienti. La resa però, è comunque magnifica, nella pesantezza del modellato che ne fa una prigione perfetta e nella sinuosità delle pieghe che ne rivela la maestria dello scultore. Queirolo riuscì a renderla reale come solida rete ma anche flessibile, affinchè possa ricalcare le forme che avvolge.
Quindi spuntano mani, ginocchia e piedi tra le maglie incrociate, ma è dove non c’è l’anatomia a sostenere la trama che la rete appare in tutta la sua fragilità e in tutta la sua stupefacente fattura, mostrando gli spazi vuoti tra i creati rombi che si alternano con precisione e sembrano appunto sospesi nel nulla, impossibili da scolpire. Non ci si accorge più della maestria con cui è anche scolpito il drappo su cui poggia l’angelo, o della complicatezza delle sue ali, la qualità scultorea della rete è protagonista assoluta.