“Gli ostaggi di Crema” è un quadro fortemente drammatico, Gaertano Previati (1852-1920) si presentò con questo al grande pubblico nel 1879, vincendo il concorso indetto dall’Accademia di Brera di Milano.
Profeta del Divisionismo assieme a Pelizza da Volpedo e Giovanni Segantini, Previati non abbandonò più questa tecnica fatta di linee che formano le figure e compongono i colori e se ne servì per i vari soggetti che nel tempo rappresentò, siano stati sacri, surreali, realisti, storici, ma prima di questo, la sua pittura si nutrì dei fermenti destrutturanti della Scapigliatura.
Infatti “Gli ostaggi Di Crema” non mostra assolutamente la benché minima fascinazione verso il Divisionismo o il suo parente stretto, il Puntillismo. La tecnica impiegata mostra impasti selvaggi e grumi di colore, materie diverse messe a testimoniare uno stile post impressionista che si era totalmente distaccato dall’accademia e da qualsiasi altro modello costruito a priori.
La scena è drammatica come lo è del resto il racconto dell’assedio di Crema. Nel 1159 Federico Barbarossa assediò incessantemente la città di Crema, ma i feroci attacchi furono sempre respinti dai Cremaschi che dalle mura gettavano olio e fiamme sui macchinari da guerra. Barbarossa esasperato decise allora di far legare gli ostaggi caduti nelle loro mani sui macchinari in modo da scoraggiare l’attacco da parte degli assediati mentre raggiungevano le mura ma, non aveva fatto i conti con i Cremaschi prigionieri che anche se certi di una loro fine, invece di gridare per la loro salvezza incitavano i propri concittadini all’attacco.
L’assedio durò circa due anni e alla fine Crema cedette dopo sanguinosissimi scontri, indebolita dall’imprevedibile e mai spiegato tradimento dell’ingegnere che fino a poco prima aveva costruito le macchine da guerra dei Cremaschi.
Le membra legate dei prigionieri di cui si conosce ancora oggi i nomi, (alcuni sopravvissero) le espressioni strazianti, e il martirio dei corpi sono resi in maniera spettacolare nel quadro di Previati. Le tenebre che avvolgono le figure pallide e macilente sono risaltate dalla luce malsana che si irradia giallognola. Padroni della scena sono lo sfinimento, la disumana condizione di predestinati al supplizio.
E’ senza dubbio interessante notare come la condizione di staticità delle figure contrasta con l’andamento del colore, rotto da macchie distruttive trasversali, in modo da negare la possibilità di pensare i prigionieri semplicemente legati a pali e da incoraggiare una visione di movimento di tutta la scena come del resto fu nella realtà, perché mentre i prigionieri erano legati, il carro avanzava verso le mura.