Guido Reni – Atalanta E Ippomene 1 & 2

Guido Reni – Atalanta E Ippomene 1 & 2

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Guido Reni – Atalanta E Ippomene, Museo Capodimonte, Napoli – 1620/1625

Atalanta? Non è mai stata una dea, non nacque dea e non divenne dea, l’equivoco che circonda il suo mito è una invenzione moderna. Vantava in verità solo lontane origini di stirpe divina dal padre Iaso, re di Arcadia e forse dalla madre Cimene. Fu abbandonata dal padre che voleva un maschio e raccolta da Artemide (o Diana) la dea cacciatrice. Crebbe allevata da cacciatori, se ne narrano le gesta tra i guerrieri, poi riconosciuta dal padre tornò in patria per sposare chi l’avesse vinta nella corsa. Lo splendido dipinto di Guido Reni ne illustra il mito.

Guido Reni, (Bologna 1575-1642), pittore e incisore bolognese tra i più importanti del ‘600, virtuosissimo nell’esecuzione e curatissimo nella composizione, resta famoso tra l’altro anche per il caratteristico sguardo ascetico dei suoi soggetti religiosi, dagli occhi spalancati e lucidi puntati verso il cielo.

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Guido Reni – Maddalena Penitente – 1635

Atalanta E Ippomene” è un dipinto del 1620-1625 esposto al Museo di Capodimonte di Napoli.

L’opera riassume il mito di Atalanta la grande cacciatrice, figlia di Iaso re D’Arcadia e di Climene, che imbattibile nella corsa, decise di darsi in sposa a chi riuscisse nell’impresa di superarla mentre chi avesse perso sarebbe stato ucciso. Ippomene si cimentò nella gara e consigliato da Afrodite, disseminò lungo il percorso tre pomi d’oro che l’avida Atalanta si fermò a raccogliere. Il tempo necessario bastò a Ippomene per vincere la corsa. Ma Afrodite, adirata per non essere stata ringraziata da Ippomene, spinse i due giovani a possedersi presso il tempio della dea Cibele che per vendetta li trasformò in leoni, animali che si pensava non si accoppiassero e li costrinse a tirare il suo carro. E’ certo che Atalanta non solo incorse nelle ire di Venere e di Cibele ma perse anche la protezione di Artemide, mai tenera neanche con le sue ninfe che si accoppiavano con esseri maschili.

Il dipinto ha la maestosa grazia e finezza solita di Guido Reni, la sua mano riconoscibile sfoggia tutta la capacità pittorica appresa nelle nozioni accumulate attraverso le grandi scuole del ‘500, fino all’inizio del ‘600.

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Guido Reni – Atalanta E Ippomene (particolare), Museo Capodimonte, Napoli – 1620/1625

Sono notevoli gli incarnati finissimi, le ombreggiature che rivelano tutta l’anatomia e il panneggio nell’ombra, lo svolazzo dei drappi che inutili nella narrazione e ridicoli, coprono puerilmente le parti intime dei soggetti ed accennano a complicati costrutti baroccheggianti. Prova inoppugnabile d’artista è la riuscitissima tridimensionalità delle mani, perfette in ogni dettaglio. La posa complessa ed elegante incrocia i due soggetti al centro del quadro e già li lega in modo simbolico come saranno poi legati in matrimonio dopo l’esito scontato e artificioso della gara.

Particolarmente interessante è la scelta del Reni di nascondere nell’ombra del drappo e del braccio destro la mano che sorregge il restante pomo, come se lo dovesse celare non solo ad Atalanta ma anche a chi guarda e ci volesse lasciare sospesi, possibilmente guidati dall’intuizione che ci sia. Questo particolare, facile da comprendere per chi conosce la storia, è da associare al gesto dell’altra mano di Ippomene, inconsueto per chi corre, ma non per chi ha appena lanciato a terra uno dei pomi.

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Guido Reni – Atalanta E Ippomene (particolare), Museo Capodimonte, Napoli – 1620/1625

Sempre sintomo di grande padronanza pittorica, il nascondere parte di un corpo nella modulata ombreggiatura permette all’artista di aumentare l’effetto tridimensionale con un maggiore movimento prospettico.

Altro elemento baroccheggiante è la posa dei due soggetti che sebbene diversa, ad un occhio attento non può sfuggire nella simile geometria dei visi colti di profilo, dei bracci destri incurvati verso l’interno, entrambi con in mano pomi, mentre i sinistri sono distesi. Come fossero la proiezione di un corpo in un quadro futurista, Atalanta e Ippomene ci danno la sensazione del mostrarci l’evolvesi di un unico movimento.

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Guido Reni – Atalanta E Ippomene, Museo Capodimonte, Napoli – 1620/1625

Ma la struttura dell’opera ci rivela altre sorprese che ne denunciano una accuratissima progettazione, si scopre che al contrario dei torsi, gli arti inferiori sono invece speculari nelle due figure, essendo disegnati nella stessa posa sia quelli esterni, che quelli interni, tesi fino ad incrociarsi.

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Guido Reni – Atalanta E Ippomene (particolare), Museo Capodimonte, Napoli – 1620/1625

L’elaborato disegno ci mostra un’aggraziata composizione che quasi sembra coinvolge i due protagonisti in una danza più che in una competizione dove la leggerezza dei drappi ne sottolinea l’eterea consistenza essendo questa una gara seguita dagli dei oltre che dai mortali, seminascosti ai lati del quadro.

La piacevolezza della posa mostra tutta la sua importanza nella realizzazione di un’opera che deve essere un capolavoro. Guido Reni la cura nei minimi dettagli, così a fondo e ne è evidentemente pienamente soddisfatto al punto da ripeterla perfetta in questa versione di “Atalanta E Ippomene” finita nel 1625 e conservata a Napoli. Il dipinto è infatti una seconda realizzazione dello stesso soggetto. Il primo esemplare fu invece dipinto tra il 1618 e il 1619, ed è conservato al Museo del Prado di Madrid.

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Guido Reni – Atalanta E Ippomene, Museo Del Prado, Madrid – 1618/1619

E’ interessante sottolineare come, sicuramente appagato dal suo lavoro, il Reni non abbia cambiato praticamente niente neanche delle ombre e delle luci, originando una seconda versione che si distingue di poco solo nella colorazione e nella rifinitura pittorica. Perché avrebbe dovuto farlo? E’ un capolavoro!

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