Magritte? Dalì? No, Bosch! Il padre del Surrealismo è senz’altro Jeroen Anthoniszoon van Aken, ovvero Hieronymus Bosch, pittore fiammingo della seconda metà del ‘400 dalla tecnica sopraffina e l’immaginazione fervida, Bosch ha prodotto opere riempite di personaggi surreali, grotteschi, fantastici.
Nonostante la sua produzione sia per la maggior parte ispirata alla religione, i suoi inferni e paradisi sono pervasi da una libertà illustrativa nel comporre un nuovo bestiario e un campionario di esseri umani o polimorfi che lo hanno reso celebre, oscurando le opere di spirito più tradizionale di crocifissioni e santi.
Abbandonati dalla razionalità e dal gusto per le proporzioni, sfalsati, i personaggi ricordano i quadri ancora di Giotto e Cimabue, ma soprattutto dei pre-giotteschi, dove le figure tendevano ad essere più grandi o più piccole, non per le leggi della prospettiva ma per l’importanza che assumevano secondo una interpretazione gerarchica del quadro.
E’ scontato il confronto con molti pittori posteriori dei quali è stato un predecessore, tra tutti Dalì ed Ernst, in loro si ritrovano le anatomie distorte, le rappresentazioni allegoriche, gli oggetti e personaggi grotteschi seminati nelle scene, ma anche con i nostri contemporanei fratelli Chapman nella rappresentazione dei loro inferni, dove oltre ad uno sfoggio di azioni abominevoli, non c’è riposo per lo sguardo dello spettatore, tanta è la complessità dell’intreccio scenografico.
Se Dalì dipingeva i suoi sogni, Bosch dipingeva i suoi incubi con una perizia che è essenziale affinchè un quadro surrealista sia un capolavoro e l’irreale sembri realtà.