La Venere Di Milo – Alessandro di Antiochia – 130 a.c

La Venere Di Milo – Alessandro di Antiochia – 130 a.c

La Venere Di Milo – Alessandro di Antiochia – 130 a.c

Come fu la “Venere di Milo” in principio, quando ancora calda per le ultime scalpellate di Alessandro di Antiochia, se non di Prassitele, in quel lontanissimo anno 130 a.c si mostrò in tutto il suo splendore, non lo potremo mai sapere con certezza, ma è un fatto però che osservando i resti di quella che è ancora la rappresentazione in marmo forse più famosa della dea della bellezza, non è questa la prima domanda che ci viene alla mente.

Perché anche se incompleta, l’opera affascina di per sé, tanto che dal poco che ne resta, non si è dubitato di intitolarla da subito alla dea Afrodite.  Stesso fascino hanno altri famosissimi monumenti incompleti degli antichi greci, quali il “Torso Del Belvedere”, la “Nike di  Samotracia” ecc….

La Venere Di Milo A Cassetti – Salvador Dalì – 1936

Ma cosa affascina della “Venere di Milo” tanto da ispirare “La Libertà Che Guida Il Popolo” del sanguigno Delacroix e le varie versioni della “Venere Di Milo A Cassetti” di Dalì? Certo il lunghissimo collo che sembra aver ispirato anche il Parmigianino e le sue pitture, certo la posa che ne esalta nella torsione la forma sottile, sormontato da una testa piccola tanto da evidenziare ancora di più non i seni, ma i fianchi smisuratamente accoglienti, sottinteso di traboccante femminilità.

 L’impostazione nell’insieme sembrerebbe essere  quella tipica del “Periodo classico” greco, dove la posa quasi sempre espressa è quella del “chiasmo”, più flessuosa in questo caso rispetto alle solite rappresentazioni dei guerrieri, ma la mancanza degli arti superiori potrebbe ingannare e forse la posa potrebbe essere più complessa, più accentuato il movimento, visto che nel periodo in cui è stata scolpita, la scultura greca era già oltre, nel “Periodo Ellenistico”.

La Venere Di Milo – Alessandro di Antiochia – 130 a.c

Partendo da questo presupposto si potrebbe affermare con una buona percentuale di possibilità che i bracci mancanti sarebbero stati quindi uno disteso lungo il corpo (quello di sinistra) e l’altro contratto, com’è appunto la posa a “chiasmo“, si potrebbe ma non è detto che sia. L’avambraccio sinistro mostra infatti  nel punto della sua rottura quello che potrebbe essere il rigonfiamento del bicipite e la spia del suo ripiegarsi, mentre quello di destra, mostra nell’attaccatura della spalla una contrazione importante che ne palesa la sua elevazione, forse fino alla posizione orizzontale.

 Quindi si è pensato che la “Venere di Milo” possa avere una posa simile all’”Afrodite Di Capua”, copia romana in marmo del II° secolo a.c di più antico bronzo greco, dove entrambi i bracci più o meno distesi, sono sollevati, probabilmente nell’atto di sorregge uno specchio o scudo riflettente la sua immagine.

Afrodite Di Capua

Le due sculture non sono però sovrapponibili, l’”Afrodite Di Capua” guarda verso il basso, la “Venere di Milo” invece guarda in avanti nella posa più flessuosa. Si potrebbe pensare anche che la spalla di destra sia invece piegata all’indietro a simulare il movimento di una corsa, quale ninfa dei boschi, dato che la posizione delle gambe sotto il panneggio ne mostrano un movimento ampio. Non lo sapremo mai, come non sapremo mai se la tesi dell’archeologo Adorf Furtwängler, che la pensò come “Venere Vittoriosa” intenta nel porgere il pomo a Paride, sia giusta.

La Venere Di Milo – Alessandro di Antiochia – 130 a.c

 Trovata da un contadino sull’isola di Milo nel 1820, divenne subito famosissima e nonostante il tempo ne abbia levigato il volto e la capigliatura, è ancora simbolo di bellezza sublime, concentrato di desiderio, fulcro nevralgico, rappresentazione di ciò che è il riassunto riproduttivo della natura umana, senza orpelli, senza fronzoli, essenziale, ammiccante e così morbida da far dimenticare il suo essere di freddo marmo.   

  

 

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