Può un oggetto di uso comune essere un’opera d’Arte? Certamente sì. Allora questa è Arte.
“La Nave Di Oseberg” è un vascello vichingo rinvenuto presso Vestfold, vicino ad Oslo in Norvegia.
Perfettamente conservata, è un esempio di “Drakkar”, la tipica nave che i vichinghi usavano nelle loro scorribande lungo le coste o nella ricerca di popoli da depredare in terre lontane, il termine i-viking ha infatti il significato di “saccheggio”.
Il suo valore esula dal contesto storico in cui viene collocata: la bellezza della forma, l’imponenza, la complessa trama della chiglia, la notevole curvatura che le assi assumono nel formare lo scafo è sicuramente funzionale ma anche adatta ad esaltare una certa qualità estetica che va oltre il valore dell’essere testimonianza storica.
Al di là dello scopo cui doveva adempiere, “La Nave di Oseberg” è un oggetto sicuramente affascinate, finemente lavorato da carpentieri esperti ed ha nella silhouette particolarmente aggraziata un’eleganza apprezzabile da ogni prospettiva.
La cura dei dettagli, la particolare predilezione ad impreziosire l’imbarcazione è evidente nelle decorazioni zoomorfe intagliate, tipiche della simbologia nordica usata all’epoca e cesellate nella poppa e nella prua, complicatissime nel disegno. Il loro scopo era sia quello di spaventare i nemici facendo assumere all’imbarcazione la forma di serpente marino, sia di proteggere dai mostri mitologici.
Velocissime, dal ventre quasi piatto, dotate di remi e di vela, le navi vichinghe erano perfette per navigare anche in acque poco profonde come quelle delle coste o dei fiumi. La forma stretta e slanciata era progettata per le manovre veloci che potevano occorrere in battaglia o in repentini sbarchi.
Il Drakkar di Oseberg è particolarmente ben conservato perché è stato rinvenuto in un tumulo funerario presso Tønsberg , al riparo dalle insidie dello scorrere del tempo e dalle intemperie.
Gli archeologi Gabriel Gustafson e Haakon Shetelig lo scoprirono nel 1904, assieme a molti oggetti e monili. Si pensa sia stato trasportato in loco nell’834, anche se alcune parti risultano essere più recenti e la data del reperto è sicuramente antecedente, fu infatti usato in mare aperto per molto tempo prima di far parte del corredo funebre.
Classificato come una tra le più importanti testimonianze dell’era vichinga, è conservato al Museo Delle Navi Vichinghe di Oslo.
La nave fu costruita in legno di quercia, è lunga 21 metri, larga 5 e si pensa dovesse montare un albero alto 9 o 10 metri dove gonfia, svettava una vela quadrata. Oltre al vento, poteva usare come propulsione una doppia fila di 15 remi.
Gli oggetti e i due scheletri di donna trovati nel tumolo, fanno pensare che fosse la tomba di un personaggio di alto rango.
Si è azzardata l’ipotesi che le due donne, una di circa 60, l’altra di circa 30 anni, potessero essere la regina Åsa della dinastia Yngling, moglie di Gudrød il Cacciatore, madre di Halfdan il Nero e nonna di Harald, il primo re di Norvegia, oppure che le due salme fossero state sacerdotesse.
E’ certo che il corredo rinvenuto è notevole, nonostante la tomba fu sicuramente saccheggiata nell’antichità, depredata dei metalli preziosi, assieme alla nave sono stati trovati i resti di 14 cavalli, un bue, 3 cani, 4 slitte e l’unico carro a 4 ruote vichingo, finemente intarsiato, giunto fino a noi.
La particolare attenzione rivolta alla personalità sepolta, è rivelata infine anche dal simbolo rinvenuto, il “valknut” con il quale, non solo si voleva proteggere l’anima del morto, ma anche indicare i valorosi guerrieri di battaglie memorabili, destinati ad essere accolti nel paradiso vichingo, il mitico “Valalla”.
Chi sia stato il destinatario di tante attenzioni nel momento del suo trapasso non è dato sapere per certo, è ovvio che però fu un guerriero o un capo, un personaggio degno di grandissima stima e onore. Fu sicuramente un uomo che meritava di attraversare le scure onde del mare dei morti su un vascello bellissimo, degno di un principe, creato da esperti artigiani che riuscirono a far confluire la qualità strutturale, obbligata dalle leggi della fisica, in una forma ispirata, che poi la sapiente Arte degli intagliatori ha rifinito fino ad innalzarla da strumento di trasporto, ad oggetto degno di ammirazione per il semplice fatto di esistere.