Le Tre Grazie

Le Tre Grazie

James Pradier – Le Tre Grazie – 1831

Fra i gruppi scultorei più interessanti ricorre il tema delle “Tre Grazie”, le tre fanciulle danzanti di cui sia la genealogia, sia la funzione, sono vaghe, confuse in molte storie diverse a seconda delle mitologie e delle religioni, dei periodi. Figlie di Zeus e Eurinome oppure Era, ma indicate anche come stirpe di Elios e Egle , oppure di Afrodite e Dioniso, le “Tre Grazie” si narra che siano l’incarnazione dei doni della castità, della voluttà, della bellezza, ma altre versioni le danno come portatrici dello splendore, della gioia, della prosperità e non finisce qui, tra le molte accezioni con cui vengono descritte comunque ce ne sono sempre di positive e si possono riassumere con gioia, prosperità, sessualità, esaltazione della femminilità, portatrici di vita e serenità.

 Aglaia Eufrosine e Talia sono i loro nomi, indicativa è la posa delle mani con cui spesso sono rappresentate nell’atto di danzare, intrecciate in alto, simboliche dello scambio del donare e del ricevere reciproco. Sono spesso associate anche alla Primavera e alla fioritura, al risveglio della natura in tutte le sue forme.

James Pradier – Le Tre Grazie (particolare) – 1831

Ce ne sono esempi nella pittura romana ed etrusca, il tema è poi stato riproposto nei secoli da artisti del calibro di Raffaello, Rubens , Botticelli e ne abbiamo esempi in sculture greche o copie romane. Di particolare interesse sono anche le sculture neoclassiche di artisti diversi ma tutte eseguite nel giro di poche decine di anni.

Affresco romano, Pompei

Tra queste merita una menzione il gruppo scultoreo di James Pradier (1790-1852) del 1831. Praticamente perfetto, nella posa rilassata che ne descrive le forme senza eccedere mai nei particolari anatomici tranne che per la chioma e gli orpelli, l’approccio di Pradier è funzionale per una sintesi che accentua la natura divina dei soggetti, scevri di qualsiasi riferimento distintivo e caratterizzante. Le fanciulle sono idealizzate all’eccesso perfino in confronto il massimo purista delle forme Antonio Canova che nella sua opera del 1816, ne dà una versione più terrena e vitale, impreziosendola con veli e capigliature ben definite e  con una posa più complessa e pudica, forse distraendoci dalla purezza che i corpi frontali e assoluti protagonisti ci possono trasmettere.

Le Tre Grazie – Antonio Canova – 1816

Invece quale muse o ninfe o dee James Pradier le scolpisce così, dai corpi che si offrono senza pudore alcuno all’osservatore, dimostrando prima di tutto che la caratteristica principale dei tre esseri divini anche se nudi, era la purezza e che la pudicizia e il peccato sta solo nell’occhio di chi guarda.

E’ del 1853 invece l’opera di Carlo Finelli (1785-1853), fratello maggiore di Pietro Finelli e con lui amico di Canova, pregevole e levigata oltre ogni misura nei corpi, che si distingue per contro nelle ardite capigliature. Se già nelle “Ore danzantiFinelli si era ispirato alle “Tre Grazie” di Canova, in questo gruppo scultoreo attua una versione più flessuosa nei corpi, complessa anche nelle mani, che tra l’altro rimane incompiuta, soprattutto nella parte delle estremità inferiori, nei piedi non ancora liberati del tutto dal marmo. Tale opera si salvò quando il Finelli insoddisfatto dei suoi pur bellissimi lavori, distrusse tutti quelli che aveva in studio.

Le Tre Grazie – Carlo Finelli

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