Questa bellissima opera fu dipinta da Leon Comerre (1850-1916) nel 1911, pittore francese di Lille che anche se non molto conosciuto al grande pubblico, ebbe grandi onori sia in Francia che all’estero, esportando la sua pittura anche in Australia e negli Stati Uniti dove ricevette più di una volta grandi riconoscimenti. Si ritirò poi a Le Vesinet , un paese vicino a Parigi con la moglie pittrice Jacqueline Comerre-Paton (1859-1955). Fu affascinato come altri suoi contemporanei tra cui Ingres e Jean Léon Gérôme dalla corrente”Orientalista” e alfine insignito della Legion D’Onore.
Decisamente originale nel soggetto, ma anche interessante nella particolare esecuzione pittorica, “Le Deluge” ci mostra una composizione tragica ma allo stesso tempo molto ben costruita ed emotivamente intensa, razionalmente composta la cui resa finale è magnificente.
Nell’interpretazione di Comerre del “diluvio universale” la sua attenzione non si posa come dovrebbe su Noè e l’Arca ma sugli esclusi, sui reietti, sugli sfortunati, sui perdenti e nel raggrupparli sul picco di terra che ancora spunta dalle acque crescenti, ci dona scene di interessanti visioni esistenziali, per non dire lezioni di vita.
Sono scorci di pittura intensi e bellissimi i rami che galleggiano e le rocce scolpite dalla pioggia battente, l’acqua sempre più scura che si irraggia intorno alla salvezza, i corpi trascinati morti o esangui, tra cui scorgiamo scene di raccapriccio e disperazione anche di chi è vicino alla riva o un bimbo che piange sotto il corpo privo di vita della madre, ignorato da tutti.
In un disastro globale come quello rappresentato, la nudità è simbolica del ritorno all’uguaglianza primordiale, in mezzo a tale sciagura non contano le ricchezze accumulate o i titoli ottenuti, tutti sono privati di tutto e chi non aveva niente diviene pari a chi aveva qualsiasi cosa. E’ forse questa la evidente conseguenza filosofica della visione dell’opera, una amalgama livellatrice di corpi, se non di anime, dove anche due leoni, si disperano impauriti ruggendo alla tempesta, non curandosi della tanta carne che li circonda e non essendo nemmeno loro oggetto di terrore degli uomini che gli stanno vicino, come a voler simbolizzare che in mezzo alle sventure siamo tutti fratelli.
Ovviamente sarà in seguito, se ci sarà un seguito, che i leoni si ricorderanno di essere leoni e allora l’isolotto diventerà assai stretto per tutti, ma per il momento, in mezzo alla tragedia imperversante, anche loro si scoprono vulnerabili e l’unica cosa che cercano sono i corpi degli altri sventurati, non per cibarsene ma per il calore che emanano.
Tra gli altri dipinti di Leon Comerre spicca un inusuale ritratto dove compare una bicicletta, attrezzo che stranamente fu raramente dipinto all’epoca se non dai Futuristi che ne dettero svariate versioni, però tutte contaminate dalla loro visione di scomposizione del movimento.