Silvia Camporesi è una fotografa nata a Forlì nel 1973.
La Camporesi sembra volersi estraniare da quel contesto attuale che vede i fotografi fare pesante uso dell’elaborazione di immagini al pc. Non che non ne faccia uso, ma la sapiente dosatura del fotoritocco rende le sue foto evidentemente alterate ma comunque dall’aspetto ancora naturale.
Scarsamente attratta dal fotomontaggio, dalla qualità dell’immagine totalmente immaginifica, si fa invece affascinare dalla composizione di atmosfere rarefatte, naturali, anche nella scelta dei soggetti.
C’è una certa predisposizione per una riqualificazione cromatica a base di verdi, nei cieli, nelle acque che donano ai suoi lavori una visione paradossalmente onirica, mantenendo la veridicità dei paesaggi.
“La terza Venezia” è una serie di fotografie del 2011 particolarmente interessante, in cui la Camporesi descrive a suo modo la città lagunare.
Principalmente affascinata dalle acque che sfiorano le costruzioni, si prefigge di esaltare le lievi tonalità dal bianco marmoreo degli edifici fino al chiaro verde delle acque, contornando il tutto da una atmosfera rarefatta e surreale che sfuma gli sfondi e dona quel senso di incanto particolarmente adatto a far risaltare la tipicità di Venezia.
Il risultato è di grande effetto, una visione della città sospesa sul mare, oppure galleggiante tra le nuvole, con atmosfere nebbiose e una cromaticità che enfatizza nei verdi freddi , la temperatura in Febbraio, mese in cui ha scattato le foto.
La Camporesi dimostra di avere la capacità di saper ottenere da soggetti già sfruttati, nuove interpretazioni rivitalizzate, addolcendone a volte i colori con tavolozze pastello.
Il progetto “La terza Venezia” mischia infine foto reali ad altre prese dalla Venezia in miniatura in scala 1:10 che si trova a Rimini. La fascinazione nel fotografare modellini delle città, è evidente e riproposta nel lavoro “Le Città Del Pensiero” del 2015.
“Le Città del pensiero” è il titolo di un’altra serie di foto molto interessanti. Nasce dall’idea di rappresentare la plasticità delle visione urbane metafisiche di Giorgio De Chirico.
Avvolte sempre da una nebbia perenne che ci ripropone, le città “dechirichiane” della Camporesi vengono presentate vuote, abbandonate e vogliono mantenere la staticità e il tempo in cui De Chirico le dipingeva.
Ruderi, specchi d’acqua, alberi, muri scrostati, paesaggi, sono da sempre i soggetti che tra i primi ogni fotografo tende a cercare.
La Camporesi riesce a superare la banalità di questi scorci già rivisti migliaia di volte in modo personale, operazione assolutamente complicata, dimostrando una ottima tecnica fotografica e dove ci vuole, facendo uso di espedienti come i “kirigami”, dosati in modo non troppo invasivo .
I paesaggi o i muri diventano così sculture tridimensionali dove l’accenno di ipotetiche strutture , scale, ci introduce e ci dà l’illusione di aprire un passaggio verso altre possibilità sensoriali.