Thea Djordjadze è una giovane artista Georgiana che gode ormai di fama internazionale.
Nasce a Tblisi dove studia all’Accademia di Belle Arti fino a quando la scuola viene chiusa per gli sviluppi della guerra civile. Continua i suoi studi in Olanda e poi a Dusseldorf. Si stabilisce definitivamente a Berlino ed entra a far parte del gruppo artistico “hobbypopMUSEUM” poi abbandonato.
Al suo attivo ha una partecipazione alla Biennale di Venezia nel 2003.
Pittrice, soprattutto scultrice, viene classificata come Post Minimalista, definizione che le sta stretta, infatti la Djordjadze non è estremamente improntata sull’apparenza delle forme ma nasconde in queste profondi significati.
Le sue opere sono assemblaggi di materiale di scarto che spesso ricordano l’intimità domestica, ma scarnificati all’eccesso, defraudati di qualsiasi possibilità funzionale e di cui si intravede appena ancora la qualifica.
Ferri contorti, grate, blocchi di gesso, improbabili arredi ricostruiti in una possibile era post bellica affollano le sue esposizioni, dove su tutto incombe un senso di ristrettezza e di scarsezza vitale.
Freddi, spesso fini a se stessi, oggetti filiformi si sommano ad assi, sostegni per non si sa cosa, come se fossero messi lì a recitare una parte in mancanza di altro, arredamenti di fortuna, strutture portanti per un’anima assente o ridotta ai minimi termini.
Le sue sculture fanno riferimento e spesso citano film, la letteratura, la scienza, la cultura georgiana ma, al di là di questo, rappresentano soprattutto quello che è stato il travagliato passaggio post comunista dello stato della Georgia.
Thea Djordjadze è cresciuta in mezzo alle varie rivolte, guerre civili, invasioni, rivendicazioni di territorio che la Georgia ha affrontato dagli inizi degli anni ’90 fino al 2008, quando la tanto controbattuta terra d’Ossezia è stata ancora una volta al centro di una vera e propria guerra scatenata dalla Russia che ne rivendicava i diritti spalleggiata da una parte degli Ossezi. La Guerra georgiana del 2008 è stata il culmine di molti altri sanguinosi avvenimenti che si sono sommati ed hanno lasciato una distruzione interiore ed un vuoto esistenziale incolmabile nei suoi abitanti.
Di tutto questo Thea Djordjadze è testimone con le sue opere in cui il senso tragico è sempre presente ed il calore umano sembra latitare, dove ferri scheletriti poggiano su basi instabili, improprie, che un anelito di vento potrebbe far cadere.
Thea Djordjadze denuncia la distruzione cruenta della sua base etnica, la sradicalizzazione culturale che si è perpetrata nella sua terra negli anni della sua formazione personale. Non ci sono vittime né sangue, né soldati né armi nelle opere ma la costatazione dei risultati che con queste si possono ottenere. La sua visione del conflitto sociale e bellico è in verità legata ad una femminilità primordiale che non analizza le cause, non partecipa, ma raccoglie gli amari frutti del suo passaggio.
Nel seguire dell’opera della Djordjadze, negli anni che poi si sono succeduti a quelli delle sue prime mostre, si nota innegabile una modificazione della rotta , un affinamento nei materiali e nel loro uso, una maggiore ricerca della definizione dei dettagli e attenzione per la pulizia delle forme. La qualità delle prime opere resta però preferibile per la genuinità espressiva, forse perduta con l’affievolirsi dei ricordi della madre terra e rifugiatasi in un Minimalismo che sembra prendere spunto dal design di arredamento d’interni.