È del 1° Dicembre la notizia della morte di Ousmane Sow (1936-2016), artista senegalese di fama internazionale.
Arrivato in Francia nel ’57, acquista la qualifica di fisioterapista, attività che eserciterà sia in Francia che in Senegal fino ai 50 anni quando, si dedicherà interamente alla scultura.
Nel 1999 si fa conoscere al grande pubblico con un’esposizione su Pont des Arts a Parigi, ma già prima aveva partecipato ad un crescendo di eventi importanti ed internazionali, sia in Francia che in Senegal ma anche in Giappone, Germania, Belgio, Italia, Svizzera.
La sua espressione si concretizza in serie di sculture principalmente ispirate alla sua terra, l’Africa intesa come groviglio di culture autoctone: Nouba, Masai, Zoulou, Peulh.
Ne narra i costumi, ne rappresenta le scene di vita, le lotte, i miti.
Usa principalmente una materia composita posata su intelaiature, paglia, iuta, terra, vari tipi di minerali. L’effetto è particolare e ha il sapore della terra d’Africa.
Grandi figure mascoline sono modellate con la muscolatura spropositatamente sviluppata a sottolineare una virilità prorompente, un contatto con la madre terra particolarmente forte. Guerrieri, ma anche atleti, gente dei villaggi africani vengono immortalati in una sostanza che sembra provenire da quei luoghi, con la grezza intenzione formale che ne amplifica la forza e la durezza accumulata nel vivere in ambienti difficili.
Si ha effettivamente la sensazione di trovarsi in un mondo primordiale e mistico, semplice ed emotivo osservando le sue sculture, dove non traspare alcuna voglia di mitigare questi aspetti anzi ne sono il loro punto di forza.
La talvolta distorta anatomia, le giunture che in alcuni casi raggiungono torsioni impossibili, sono funzionali ad introdurci in una irrazionale atmosfera dove lo spirito vince sulla materia e ne è apparenza e sostanza.
Monolitici, eretti come tronchi di querce secolari, le figure di Sow stupiscono per la possanza, la sgraziata postura anatomica che non dispiace, anzi ne rafforza l’impatto emotivo, perché denota la sicurezza descrittiva di chi, a prescindere dalle normali concezioni anatomiche, può rappresentare fedelmente quello che ha dentro come esperienza concretamente vissuta.
Dai bracci nodosi, come composti da noci di cocco, dal petto gonfio e ampio, dal torso tozzo e simile ad un macigno privo di addominali costruiti artificialmente, i suoi giganti ci guardano mostrandoci la piena unione tra uomo e natura con i lineamenti rilassati anche nello sforzo della lotta.
L’opera di Sow non decade neanche quando si distacca dalla madre Africa per descrivere uno degli avvenimenti più conosciuti nella storia degli indiani d’America, “Little Big Horn”. Il popolo pellerossa, accomunato al popolo africano dallo stretto contatto con la natura, trova in Sow un perfetto incarnatore del proprio spirito.
Tutto questo ebbe certo un grandissimo effetto nel 1999 all’esposizione di Pont des Arts se più di tre milioni di persone ne presero visione, sicuramente incantati da una così ben descritta forza primordiale catapultata in mezzo alla civilissima Parigi, alle soglie del nuovo millennio, tra circuiti, pc, telefonini, femminismo, metrò, traffico e sciapiti prodotti dell’Arte contemporanea.
In seguito, Ousmane Sow si ritirò in Senegal:
“Il mio corpo è stanco”
disse.
Continuò il suo lavoro con la riproduzione in bronzo di alcune sue sculture precedenti e altre nuove, tra cui “Le Coureur Sur La Ligne De Départ” commissionatagli dal Comitato Internazionale delle Olimpidi e “Victor Hugo“. Infine, nel 2008 realizzò “Sans Papier” esposta a Ginevra.