Kim Miru , è cresciuta a Seul ma è nata nel 1981 a Stoneham, Massachussets dove è tornata nel ’95. E’ una artista performer–fotografa, spesso modella protagonista delle sue stesse foto.
Si definisce artista esploratrice ed in effetti, non solo si butta in imprese e viaggi che durano un lungo tempo, ma li affronta con la voglia di vivere esperienze intense scisse dalla consueta vita civilizzata.
Uno dei viaggi-esperimento più lungo è stato quello dell’attraversamento di tutti i più grandi deserti del mondo: il deserto arabo, il Sahara in Algeria e Mali, Thar in India e il deserto del Gobi in Mongolia. Il viaggio che è durato circa due anni, è documentato dalle sue foto. Durante tutto questo periodo, ha vissuto con le popolazioni nomadi che ha incontrato.
Nel viaggio metropolitano, “Naked City Spleen”, forse meno esotico ma decisamente finalizzato a foto molto attraenti, Kim Miru si ritrae negli anfratti sotto la metropoli, tra le rovine di edifici e fabbriche abbandonati e le sue foto sono compositivamente e cromaticamente interessanti, sensuali. Il suo nudo di donna appare come una luce che rischiara spettri di costruzioni in freddo metallo, umide gallerie, ambienti un tempo voluti dall’uomo, poi abbandonati a se stessi, ambienti che magicamente con la sua presenza, riprendono vita.
Il lavoro che però l’ha resa unica nella sperimentazione di quel filone dell’Arte contemporanea che mira alla gestione e scoperta di nuove possibilità emozionali attraverso performance estreme, è “The Pig That Therefore I Am”.
Kim Miru si è fotografata e filmata in un allevamento di maiali, completamente nuda, carponi in mezzo agli spazi che li ospitano.
Secondo il pensiero di Kim Miru, il maiale è un animale molto simile all’uomo per costituzione ma soprattutto, ha la capacità di avere sensazioni simili. Questo è dovuto in parte alla sua pelle che, ricoperta solo da un sottile strato di pelo, consente una sviluppata sensazione tattile su tutto il corpo. Secondo Kim, il contatto con questi animali favorisce un passaggio emozionale dove le sensazioni si espandono e sono amplificate a tutto il branco.
C’ è qualcosa di veramente particolare nelle foto che la ritraggono in mezzo al gruppo di animali, forse la strana, impensabile somiglianza tra la schiena curva di lei e i suini, esaltata nella penombra e nella luce soffusa che rende i colori uniformi. Forse una sensualità inaspettata che sia il corpo di lei, sia quello dei suini assumono con movenze e pose che ci ricordano ancestralmente qualcosa, corpi caldi e rosa, morbidi e flessuosi che si muovono strusciandosi a vicenda.
Senza nessun timore, in modo sconvolgente, Kim Miru resta al centro del branco di suini, quasi inerme, assecondandone i movimenti, i loro tentativi esplorativi tattili con il muso, con lo sfiorarsi dei torsi.
L’artista riesce a dimostrare quanto in realtà non sia molta la differenza tra esseri viventi e che forse solo la più elaborata conformazione fisica dell’uomo, dotato di un pollice opponibile, è la ragione per cui è riuscito a concretizzare i pensieri e costruirsi attrezzi dando origine, tramite una manualità più agevole, alla società odierna.
E’ cosa risaputa che l’anatomia umana è molto simile a quella di tutti i mammiferi. Come l’uomo, anche i cavalli, i cani, i delfini, perfino i serpenti e gli uccelli, hanno qualcosa che assomiglia ad esempio alle scapole, alla colonna vertebrale. Quasi tutti hanno il bacino e le stesse ossa nelle braccia, nelle gambe o zampe.
Kim Miru va oltre l’anatomia comparata, fotografa la pelle suina a contatto con la propria mettendone in evidenza la texture, i pori, i capezzoli, la peluria, la familiarità con la pelle umana.
“The Pig That Therefore I Am” è forse il viaggio più profondo di Kim Miru, alla ricerca di sensazioni primordiali che lei, come nei suoi viaggi nel deserto, vive emotivamente e totalmente a contatto con le esistenze che incontra, immergendocisi, fino ad entrare in completa condivisione, di ambiente, pensiero, sensazioni.
Un invito a non trascurare mai la nostra parte emotiva, il nostro fabbisogno emozionale