Gustav Klimt (1862 – 1918) pittore austriaco, ha incarnato il puro spirito della “Secessione Viennese”.
Protagonista della Vienna di fine ‘800 e inizio ‘900, Klimt riscopre il gusto per la pittura classica, rinnegando in parte le nozioni impressioniste, reinterpretandola invece attraverso rivisitazioni, citazioni sia moderne, Liberty, sia antiche, affondando le sue origini ispiratrici fino alle icone dei primi secoli dopo il mille.
Klimt intraprende la via per giungere ad una esigenza figurativa innovativa ma allo stesso tempo piacevole, esteticamente valida, ricca di citazioni passate, di cui principalmente si assapora la studiata, statuaria, imponente composizione, decisamente teutonica.
Accanto a questo, Klimt inizia una costante ricerca nella rottura del disegno classico del corpo umano, aprendo la via ad una più libera interpretazione delle linee base delle anatomie, enfatizzando, distorcendo arti e busti, tendini e ossa, in un percorso che sarà poi proseguito dal suo allievo Egon Schiele e che porterà alla rivoluzione totale del concetto di disegno anatomico.
In Klimt si assapora la ricchezza, gli ori, appunto ripresi dalle icone bizantine, simbolo di un impero, quello Austro-Ungarico che contrappone la ricca facciata ad un presente ed un futuro che si avviano al disfacimento, sia di costumi che di potenza imperiale ed economica.
I fumi della guerra in Europa sono già presenti nell’etere e Klimt ne capta i segnali e i timori respirati dalle folle, quindi impreziosisce i suoi quadri perché si sa, quando c’è incertezza e paura, per molti la necessità della materia ha più attrattiva della forza dello spirito.
Così i suoi ritratti fatti su commissione alle signore dell’alta società sono pregni di dorature, quasi stucchevoli, Klimt li rivitalizza con una fine pittura dalle modulate incertezze tonali negli incarnati, dando origine ad un magnifico contrasto tra la durezza, lo splendore dei metalli e l’opaca morbidezza della pelle.
Le sue dame si scoprono sì impreziosite ma anche bardate da armature dai ricami Liberty; inconscia, è forte la consapevolezza della imminente chiamata alla guerra.
L’Impero Austro-Ungarico è al termine, l’avventura bellica concretizzatasi nella I° Guerra Mondiale, ne segnerà la fine tragica. Come molte civiltà arrivate all’apice, si scopre ricolmo di dissolutezze, corruzione, mollezze dei suoi politici, nascoste da una coltre di perbenismo, un’apoteosi dell’ipocrisia che satura l’atmosfera come una miscela esplosiva. La guerra diventa così l’unico modo per purificarsi.
In mezzo a questo contesto Gustav Klimt, si trova pittore, a cercare di arginare una spirale distruttiva cercando di donare bellezza, dignità e forza alle sue opere, ai suoi soggetti, oppure delicatezza nelle forme sinuose delle sirene ma resta anche lui intrappolato nel suo tempo. Klimt, come le sue modelle, tra i pesanti ricami che le avvolgono, accerchiato dall’ottusità, non può fare a meno di denunciare nei suoi lavori quell’avanzare della materia sull’essere umano sospinta dal bigottismo. Sarà poi Schiele, nel disegnare i suoi nudi, ad andare oltre, a descriverne il febbrile, sensuale stato di putrescenza che ha ormai preso il sopravvento sull’umanità, sui sentimenti, su una sessualità fatta di emozioni.
La materia, l’egemonia economica, il denaro. I quadri di Klimt, tra le ragazze efebiche, ne gridano il valore assoluto. Esemplare è la scelta del soggetto “Danae” la mitica figlia del re di Argo che Giove riuscì a fecondare trasformandosi in una pioggia d’oro.
Dal disegno prospettico enfatizzato nelle curve delle cosce, la forma raccolta, contratta come le mani e il viso scavato, “La Danae” del 1907, ci mostra il percorso innovativo di Klimt, l’attenzione per il soggetto e la posa elaborata, la cromia difforme della pelle, i decori stile Liberty fatti con la doratura che i maestri riservavano alle sacre immagini delle icone. Non è forse del resto “La Danae” una icona, ovviamente pagana, ma dotata di attributi stilistici che tendono a renderla distante dal mondo reale? Come nei ritratti delle sue signore, Klimt pone l’accento sul distacco dalla realtà umana, l’impermeabilità ai sentimenti ricoperti da montagne di foglia d’oro.
Discinta, “La Danae” racconta del suo tempo, addormentata, sogna l’oro che gli si insinua tra le cosce.
Anche in “Pesci D’Oro” del 1901, non c’è voluttà sensuale legata al desiderio della carne ma solo al pregiato metallo. Nel “Bacio” del 1908, dove il desiderio sessuale è condiviso tra uomo e donna, è comunque circondato da una cascata d’oro che come uno scudo lo avvolge e isola dal contesto brullo.
Come lui, Grozs e altri pittori del nucleo degli Espressionisti, scrittori, poeti contemporanei non sono sordi all’influsso distruttivo derivato dall’opulenza, la lascivia, se ne hanno testimonianze in tutte le loro opere. L’Espresssionismo nascente mostra infatti il disfacimento delle forme, la non curanza, il rifiuto di qualsiasi regola del disegno, delle ombreggiature, della tridimensionalità. E’ di questo periodo lo studio principale di Sigmond Freud sulla psicologia e il rapporto con il sesso, visto non come gioviale sfogo dei sensi ma angoscioso portatore di turbamenti esistenziali repressi.
La sessualità vissuta in modo inappropriato, slegata dal coinvolgimento emotivo e la sfrenata spinta di questo invece rivolta verso la ricchezza, sfocerà ovviamente nella guerra, portando al contrario distruzione e povertà assoluta. Klimt morirà come moltissimi altri, alla fine della I° Guerra Mondiale, quando le condizioni igieniche indotte dalla povertà favoriranno una epidemia di spagnola devastante per tutta l’Europa.
L’influenza lo colse non prima di aver costatato l’avverarsi dei suoi fondati e presagiti timori.
Possiamo però ammirare i suoi capolavori tralasciando il contesto emotivo storico in cui furono dipinti, godere delle pose flessuose, le mani nervose, i volti dai lineamenti perfetti ma scavati, ritratti sempre al limite tra la gioia e il dolore. Possiamo godere degli elaborati sfondi decorativi, della sensuale carnalità delle sue modelle, delle composizioni ardite ricercatissime nei suoi lavori, della delicatezza impalpabile con cui invece amava ricoprire la sua idea di femminilità.