Scrivere di Fratteggiani è una sfida, descrivere la sua Arte, una sublime tempesta emotiva raziocinante, un rincorrere emozioni inafferrabili, come se arrivati in cielo, si cercasse di afferrare le nuvole. Così è l’Arte di Fratteggiani, dalla solida base in pietra serena ma eterea, illuminata, geniale, impalpabilmente monolitica.
Monocromo, Fratteggiani è monocromo, senza incertezze, senza ripensamenti, senza un prima o un dopo, Fratteggiani in questo inizio di secolo è il “Monocromo”.
La tela monocroma non è certo una novità, Kazimir Severinovič Malevič (1878-1935) nel 1915, all’alba del Suprematismo russo, dette vita a “Quadro nero su fondo bianco”, innalzando la cromaticità essenziale a valore assoluto, scevro da forme, sfumature, luci, ombre.
Poi Barnett Newman (1905-1970) inaugurò il percorso del “Color Field” e l’attrazione per il cromatismo unico, puro, ma lasciò spazio a sfumature, invenzioni cromatiche con cui riempire tele, spazi esistenziali. Anche Mark Rothko (1903-1970) ne avvertiva l’importanza, sentiva il bisogno dell’accostamento di sfumature, della complementarità e per completare l’immagine dovette andare oltre la tela monocroma o ricercare impercettibili tonalità diverse.
Yves Klein invece ne fu affascinato, al punto da brevettare, nel 1956 un colore tutto suo, il “Blu IKB 191” con il quale riempiva le tele, assolutamente e solamente “blu”.
La tela monocroma manteneva inalterata il suo fascino, anche se molti artisti se ne sono serviti per esaltare forme, invenzioni, innovazioni.
E’ il caso di Enrico Castellani (1930), che sotto tele monocrome montava i suoi telai , i suoi motivi estroflettenti che donavano ai monocromi giochi di luce tridimensionali veri, non creati ad Arte dal colore ma scolpiti dalla tela. Anche Bonalumi, coinvolto nel turbine progettuale dello Spazialismo, si servì della tela monocroma per dare forma alle sue estroflessioni più sensuali, più emozionali, meno seriali ma più emotive.
Tra i grandi stimatori del monocromo si può citare Piero Manzoni. Il bianco riempiva le tele su cui rilievi in caolino creavano motivi, increspature, sottolineati da oggetti impensabili tra cui spiccavano anche ormai non più fragranti file di rosette.
La rottura con il monocromo è invece il soggetto delle rivoluzionarie “Attese” di Lucio Fontana (1899-1968). Rosse, bianche, gialle, le tele di Fontana offrono la loro superficie monocroma quale membrana da sfondare, imene da penetrare per arrivare alla verità ancora inviolata della ricerca tridimensionale, ovvero che la terza dimensione nella tela non ci può essere e si può ottenere solo andando oltre, con un taglio netto.
Alfonso Fratteggiani Bianchi nasce nel 1952 presso Perugia, negli anni ’90 viene proposto al grande pubblico e inizia ad entrare in collezioni private importanti. Le sue opere fanno presa, figlio forse più di una concezione artistica d’oltre oceano che mediterranea, ha subito mercato negli USA, dove in breve tempo si conquista una discreta popolarità. La sua Arte è una ricerca che parte da lontano e si concentra sul colore, il pigmento puro, la polvere ricavata da terre, pietre, che poi mischiata con i vari leganti darebbe origine ai colori pastosi usati nella pittura. Fratteggiani invece usa il puro pigmento non mediato da altri leganti. In questo modo, riesce a mantenerne la brillantezza originaria, il suo valore estetico e ipnotico naturale.
Per fare questo, Fratteggiani si è ingegnato nell’usare un supporto che glielo consenta e ha scelto la pietra arenaria che senza altro, con la sola porosità, riesce incredibilmente a trattenere il pigmento. La polvere ci si attacca e l’opera è compatta, inalterabile.
Un espediente tecnico in apparenza semplice ma che deve essere accompagnato da una notevole cura nella stesura delle polveri, perfetta, lenta, maniacale.
Il risultato è concretamente di grande effetto, il colore puro brilla di una luce propria, non condizionato dai riflessi, dalle variazioni della luce ambientale e illumina le stanze creando appunto un effetto ipnotico.
Non c’è inganno nella pittura di Fratteggiani, non c’è costruzione, non c’è trasfigurazione della tridimensionalità sul supporto bidimensionale. Fratteggiani ci mostra quello che è com’è, forse per questo i suoi lavori hanno così tanto successo. La realtà è merce rara nell’era contemporanea e quando la si scopre, non possiamo che provare un senso di sollievo.
Dall’origine della pittura e del disegno, quando furono tracciati i primi segni sulle pareti delle caverne, passando per le icone bizantine, fino ai giorni nostri, il pigmento mischiato con altre sostanze è alla base dell’Arte di ogni epoca. Fratteggiani, nella sua ricerca cromatica sembra chiudere un ciclo che vede l’uomo, usare la stessa materia, lo stesso pigmento in polvere alle sue origini e riproporlo adesso, dopo svariate sperimentazioni, simile nell’era contemporanea.