Pietro Finelli vs Giuseppe Pacetti – Alcide e Dejanira – 1801

Pietro Finelli vs Giuseppe Pacetti – Alcide e Dejanira – 1801

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Pietro Finelli – Alcide e Dejanira – 1801

Questa stupenda composizione scultorea fu presentata da Pietro Finelli (1770-1812) nel 1801 al concorso Balestra dell’Accademia di Roma, organizzato da Vincenzo Pacetti (1746-1820), che vedeva appunto come tema l’erculeo mito.

Altro unico partecipante fu Giuseppe Pacetti (1782-1865), figlio di Vincenzo che sicuramente avrebbe vinto il concorso forse non per meriti, se alcuni, tra cui Canova, non si fossero opposti reclamando l’irregolarità della giuria composta dal padre del Pacetti che tra l’altro era anche il suggeritore del soggetto da rappresentare. Quale sia tra i due gruppi scultorei quello migliore, sta agli osservatori giudicare, è certo che entrambi sono stupendamente modellati nella terracotta.

Il soggetto tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, prevedeva Ercole nella scena in cui, dopo aver ferito a morte il centauro Nesso, riprendeva possesso della sua sposa Deianira rapita.

Si narra che per attraversare un fiume in piena, Deianira si fece aiutare dal centauro Nesso che poi giunto sull’altra sponda fuggì con lei sulla groppa e che Ercole adirato, lo raggiunse e lo uccise liberando la sua compagna.

Alcide, fu appunto l’appellativo con il quale Pietro Finelli volle nominare Ercole nella sua composizione, nome usato spesso nei poemi greci per definire la stirpe terrena dell’eroe che vedeva in Alceo il nonno paterno putativo.

Alcide e Dejanira” è un gruppo scultoreo di 79x62x44 cm, in cui Finelli ci mostra un Ercole massiccio oltremodo, degno rappresentante del mito che lo accompagna. Dai polpacci grossi fino alle caviglie, le cosce possenti come del resto le spalle e il petto, l’Alcide posa dolcemente con tra le braccia Deianira, ormai salva. Barbuto, dal naso forte, vagamente aquilino, rivela fattezze manieriste o riprese dall’Arte classica greca.

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Ercole Farnese – II° se. a.c., copia romana del bronzo di Lisippo del IV° sec. a.c. –

Fu certo ispirato all’”Ercole Farnese“, la monumentale scultura romana alta più di tre metri del III° secolo d.c. opera di Glicone, copia del bronzo perduto che il greco Lisippo creò nel IV° secolo a.c.. Se ne assapora la somiglianza nella muscolatura, nelle proporzioni, nella fisiognomica del volto, la testa minuta rispetto al corpo, le gambe possenti, i bracci massicci e il ventre di cui si avverte la prominenza tra i fianchi larghi.

Più slanciato è invece l’Ercole di Pacetti, nell’”Ercole E Deianira” di 74x44x74 cm, del quale risalta dettagliatissima, la struttura addominale e la finezza del torso, atto ad evidenziare ancora di più la sviluppata fattura dei tondi e sodi deltoidi, anche se mantiene la barba e i capelli ricci come narrato nella descrizione dei miti classici.

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Giuseppe Pacetti – Ercole E Deianira

Se i due scultori divergono nella loro idea dell’Ercole, si accomunano nella rappresentazione di Deianira, decisamente neoclassica, dalle estremità tornite e il volto privo di forti connotazioni caratterizzanti o emozionali. Come fossero state scolpite dalla stessa mano, perfino nei panneggi non divergono di molto, appiccicati ai corpi e risaltati da frange nette. La differenza è solo nella posa più discinta della versione del Pacetti, dove la fanciulla mostra il seno florido.

E’ invece scontata in tutte e due le composizioni la posa del centauro Nesso, ridotto a tappeto su cui la coppia celebra la sua riunione.

Il concorso fu vinto, non certo senza pareri contrari, da Finelli. Dopo la denuncia della errata procedura non poteva che essere così, ma forse, la composizione del Pacelli più ardita e complessa, avrebbe potuto vedere il massimo gradino del podio se le polemiche non avessero preso il centro della scena, d’altra parte, entrambe le sculture sono degne di allori e onori e infine, in ogni epoca ha sempre valore il detto che pare fu proferito per la prima volta da Giulio Cesare:“De gustibus non disputandum… “.

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