Giorgione – La Tempesta – 1502/1503

Giorgione – La Tempesta – 1502/1503

Giorgione – La Tempesta – 1502/1503

Tra i tanti enigmatici quadri del maestro rinascimentale Giorgione (1478-1510), ”La Tempesta” è stato da sempre il più discusso e al centro di teorie interpretative molto diverse, questo perché la sua composizione così particolare alimenta la sensazione di un precario equilibrio sull’orlo dell’esplosione emotiva che ben si addice alla scena espressa nel titolo ma non solo, mostra altro contenuto che invita ad altre riflessioni approfondite.

Bisogna prima di tutto dire che “La Tempesta”, è stato spesso additato come esempio del primo paesaggio dipinto e, a torto o a ragione, è forse il più famoso tra quelli antichi.

Ma minimizzare l’opera definendola solo una ottima rappresentazione di veduta bucolica non è accettabile, così infatti è il titolo stesso a introdurci ad una narrazione pittorica ottimamente eseguita ma soprattutto meticolosamente pensata.

La costruzione prospettica è classica: uno sfondo di edifici in cui molti hanno individuato lo scorcio della città di Padova, con ai lati due figure umane impegnate in diverse mansioni apparentemente scollegate tra loro.

Il dettaglio che ne fa da subito un mistero è l’assenza di un soggetto principale, infatti l’apertura della rappresentazione vede al suo centro non personaggi ma appunto un paesaggio e soprattutto un cielo che color acqua, rivela quello che probabilmente è il primo di una serie di fulmini.

La tempesta è quindi la vera protagonista o meglio, protagonisti sono l’attimo precedente e quello in cui si scatena, lo si evince dai due personaggi, per niente preparati al mutare degli eventi e praticamente sorpresi all’aperto lontani da ripari. E’ quindi una tempesta improvvisa, un temporale estivo che trova la figura femminile, interpretata come una zingara (cingana), intenta nell’allattare il figlio e l’altro personaggio, forse un pastore o un soldato fuori dalle mura che la osserva.

Come in tutti i quadri rinascimentali, anche in questo ogni componente è simbolico e portatore di significato, ecco perché vari critici si sono susseguiti nel dare interpretazioni diverse e non è detto che ci sia solo qualcuno che abbia più ragione degli altri, i pittori rinascimentali, fini esecutori, erano anche abilissimi intellettuali e spesso nascondevano nelle loro opere commissionate anche altri significati.

 In quest’opera commissionata dal nobile veneziano Gabriele Vendramin, si è infatti vista l’allegoria della città di Padova, caduta come una donna ormai nuda, in preda alla Repubblica di Venezia ma non solo. C’è chi ha visto in questa composizione invece la narrazione dei primi esseri creati da Dio dopo la cacciata dal Paradiso: la donna che ha partorito con dolore allatta il suo primo figlio Caino, mentre il personaggio di sinistra Adamo, stringe un attrezzo da lavoro o da battaglia. Entrambi sottostanno al cielo gonfio della vendicativa ira del Signore che si manifesta con un fulmine minaccioso e che li tiene lontani dalla città, in questo caso simbolo del Paradiso.

Finemente accostati, come del resto ci ha abituato nei suoi quadri il Giorgione, i colori dell’opera si intrecciano e ci guidano in un vortice che continuamente mantiene viva l’attenzione su tutta la tela. Colpiscono soprattutto le fronde e la vegetazione, ricamate alla maniera rinascimentale, in ogni minimo dettaglio del fogliame, ma più di tutto, colpisce il vuoto emotivo che si estende praticamente su la maggior parte della tela, lasciandone poca agli attori principali. E’ infatti il paesaggio che prende il campo in verità nemmeno troppo ricercato nelle forme, quel tanto che basta per descrivere il fiume, il ponte e le costruzioni. E’ però proprio in questo modo che Giorgione descrive l’attimo, il momento di quiete e di vuoto, di calma apparente prima della tempesta, dello scagliarsi del primo fulmine. Solo così riesce a rendere particolarmente visibile il fulmine che non contrasta in verità nel cielo con nubi nere ma azzurre.

Non c’è il buio tenebroso, né il terribile tuono, ma solo un accenno, che non fa scappare di corsa i due personaggi che invece sembrano continuare le loro veci, quasi estraniati dall’avvenimento atmosferico.

Per tutte queste incongruenze che ne fanno una rappresentazione atipica, il quadro ci spinge a riflettere sulle reali intenzioni narrative del suo creatore, probabilmente allegoria di avvenimenti contemporanei in cui più interpretazioni si fondono e si intrecciano agli avvenimenti politici del tempo. 

La caduta della città di Padova potrebbe essere stata vista dal Giorgione quindi come una disgrazia simile alla cacciata dal Paradiso di Adamo ed Eva, la fine di un idilliaco vivere, l’inizio del dominio veneziano che dal cielo piove come un castigo divino. Si potrebbe anche azzardare l’ipotesi del soldato sulla sinistra che, scuro in volto, minaccia la donna ormai indifesa, così come il temporale minaccia Padova. Ipotesi certo ardita considerando il fatto che il committente era di origine veneziana, ma quanto pesò il suo volere nell’ideazione dell’opera? Forse il Giorgione non ha resistito nel canzonare tale committente al punto da inserire nel quadro una narrazione opposta a glorificare Venezia? E’ forse vero che il Giorgione originario di Castelfranco Veneto potesse vedere la Repubblica Veneziana come disgrazia incombente che si appresta a conquistare le porte di Padova?

Difficile capirlo, è certo che l’artista, nato e vissuto in quei luoghi era un fine conoscitore delle corti e della  politica del tempo. 

    

Si potrebbe invece pensare che il quadro sia allegoria di una minaccia che pende sui tetti di Padova non bellica ma di altra natura, come lo furono le varie ondate epidemiche di peste di quei decenni a partire dal 1500, di cui nel 1510 anche Giorgione fu precoce vittima.

 Ma tra le tante interpretazioni ce ne solo altre dove è cruciale la data dell’esecuzione pittorica del Giorgione, c’è infatti l’ipotesi che il quadro non sia stato dipinto nei primi anni del 1500 ma intorno al 1508, 1509 poco prima della morte, quando il Sacro Romano Impero, la Spagna e la Francia si unirono nella Lega di Cambrai per fermare le mire espansionistiche di Venezia.

Fu un periodo buio per la “Serenissima”, ma anche per Padova che si vide accerchiata dalle truppe imperiali  e addirittura il 14 Giugno 1509, nobili padovani e sostenitori dei dintorni si appropriarono della città con l’intento di consegnarla alle truppe assedianti.

Il 17 luglio dello stesso anno però la città fu ripresa dai Veneziani che prima di fortificarla per respingere definitivamente l’assedio imperiale, la saccheggiarono e giustiziarono cruentemente chi aveva sostenuto i loro nemici. Quali altri avvenimenti avrebbe giustamente paragonato a tempesta il Giorgione se non questi?

Il pericolo che l’osservatore corre con tutte queste acrobazie mentali è quello di scordarsi di guardare la perfezione dell’operato, la finezza dell’esecuzione dei ricami tra le pieghe delle vesti del soldato, della gentile ombra sul suo volto, la dolcezza degli incarnati della zingara e del bimbo, e se è vero che il muretto in primo piano è in realtà poco curato, le tonalità di avorio magistralmente disegnano tra i verdi profondità leggere, attente a non togliere il ruolo di protagonista all’accennato fulmine. Un’opera preziosa in cui il vuoto, l’incertezza di un prossimo futuro è l’aspetto emotivo e vero messaggio che l’artista ha voluto trasmettere.    

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