Giorgione – Tramonto – 1508

Giorgione – Tramonto – 1508

Scrivere di quest’opera è come avventurarsi in una palude inesplorata, al buoi e da soli, e se all’inizio possiamo scorgere qualche appiglio nelle intrigate vicende datate e storicizzate che l’hanno vista protagonista, man mano che si procede si ha la sensazione di affondare appunto, impantanati in maniera inequivocabile nelle varie, inusuali peripezie, tanto è incerta la sua vicenda, per non parlare del soggetto, l’attribuzione e il suo messaggio, a tutt’oggi materia di discussione.

Partiamo dal titolo che in verità è stato assegnato solo nel 1934 da Giovanni Longhi, il primo a dare l’opera per mano certa del Giorgione quindi, se l’attribuzione è stata problematica, il titolo era tutt’altro dato che si sarebbe riferito probabilmente ai personaggi in primo piano. Proseguiamo narrando del turbolento percorso di vita del quadro che fu rinvenuto nei pressi di Padova nel 1933 dal direttore del Museo Correr di Venezia nella villa che anticamente apparteneva alla famiglia di Marcantonio Michiel, noto collezionista e letterato cinquecentesco.  Pervenne poi nelle mani del collezionista e storico Vitale Bloch che lo vendette alla National Gallery in parte distrutto, praticamente illeggibile nella parte di destra.

Intanto era avvenuta la prima trasformazione, in quanto gli viene aggiunto un pezzo di sana pianta, un inserto di antica tela rappresentante un San Giorgio che uccide il drago, il tutto di dimensioni ridotte, che da subito si vede chiaro, stona in tutto l’insieme e rende già così l’opera particolarmente destabilizzante.

Giorgione – Tramonto (prima del restauro)– 1508

Di chi sia questa pittura aggiunta non si sa, né si sa perché è stata aggiunta, forse solo perché la tela originale era così danneggiata da doverne trovare altra a supporto. Si è quindi fatta l’aggiunta con un pezzo di tela a mo’ di toppa probabilmente dello stesso periodo.

Abbiamo quindi una splendida opera del Giorgione, perché di questo stiamo parlando, dove saltano agli occhi i suoi classici virtuosismi nella  pittura del fogliame in ombra, così naturale e delicato eppure così dettagliato, e dove si offrono alla vista particolari tonalità ocra che disegnano lo sfondo centrale in una dolce visione di piani prospettici che termina con l’affacciarsi di costruzioni da un lato e un forte contrasto d’azzurro dall’altro. Quel modo di creare scorci descritti all’eccesso nei particolari delle rocce scure, dove le erbe e i rovi diventano protagonisti è un altro dei suoi tratti caratteristici, condivisi con Leonardo da Vinci, tutta sua è invece la particolarità di rendere luminosi i paesaggi attraverso la creazione di un corridoio centrale che invita l’osservatore verso una luce sempre crescente e dorata fino all’azzurro cielo, in questo caso velato dalla chiara striscia del tramonto sulla linea dell’orizzonte, da qui il nome del quadro.

Infine le figure umane che minuscole quasi si perdono nella non grande tela di 70×92 cm (Giorgione è risaputo, amava il ricamo nel piccolo formato piuttosto che cimentarsi in roboanti pennellate su grandi tele), dipinte con incredibili sfumature che ne fanno delle bellissime miniature, non protagoniste ma quasi comparse nell’immensità della natura potrebbero essere San Rocco protettore degli appestati che viene accudito dal suo assistente Gottardo. Ipotesi infine accreditata dai più a causa del periodo in cui l’opera vide la luce, segnato da varie epidemie di peste. Ma ce ne sono altre, tra cui quella che tutta la tela sia una rappresentazione delle tentazioni di Sant’Antonio oppure che narrino un episodio di Enea e Anchise agli Inferi o di Filottene durante il viaggio per Troia.

La parte di destra vede tra le rocce altri protagonisti, tra cui sembra poter essere individuato Sant’Antonio ed altri animali immaginifici sullo stile di Bosch, qui si potrebbe aprire un dibattito su chi o cosa rappresentano, se c’è un legame con i due soggetti in primo piano ma realtà è però che la tela fu in quei punti così danneggiata da lasciare il dubbio se effettivamente le ombre che disegnano i vari personaggi sono volute o casuali, forse aggiunte dal restauratore. Inutile quindi soffermarcisi, come lo è sul San Giorgio e l’inusuale drago, frutto di chissà quale altra mano che in realtà è così fuori dal contesto da creare un altro soggetto all’interno dello stesso quadro, che in realtà lo rende più enigmatico, e vivace, con quella punta di azzurro che spicca nella punta della sella. E’ certo anche questo un particolare di notevole fattura, forse per questo il restauratore lo ha inserito, unico superstite di altra tela di chissà chi.

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