Milovan Farronato “transgender” curatore del Padiglione Italia alla 58° Biennale di Venezia 2019

Milovan Farronato “transgender” curatore del Padiglione Italia alla 58° Biennale di Venezia 2019

Milovan Farronato

E’ iniziata senza le grandi polemiche  che in verità ci si poteva spettare, la 58° Biennale di Venezia 2019.

 La manifestazione artistica tra le più prestigiose nel mondo, infatti avrebbe potuto avere una risonanza maggiore e quindi una pubblicità centuplicata. Tutto sembrava stabilito a tavolino invece, come se avessero fiutato il complotto, i media hanno ignorato il principale spunto polemico preferendo la politica, di Salvini, Di Maio e il loro teatrino di smentite e affermazioni contraddittorie alfine improduttive.

Il Padiglione Italia, per l’edizione della 58° Biennale di Venezia 2019 è stato affidato a Milovan Farronato, personaggio conosciuto nell’ambiente, soprattutto a Londra dove cura e ha curato vari eventi artistici: nato nel ’73 a Piacenza, curatore del Fiorucci Art festival ha al suo attivo collaborazioni in Polonia, Brasile, Turchia, Grecia e soprattutto Londra, Milano.   

Padiglione Italia, 58° Bienneale di Venezia 2019

Quindi preparato e introdotto è inattaccabile sotto il profilo professionale, c’è da dire però che Farronato è di fatto un “transgender”, per chi ne avesse dubbi, basta guardare il video della presentazione della Biennale per osservarlo con unghie laccate, rossetto, capelli acconciati e vestito lungo.

Occasione mancata, quella delle polemiche risparmiate sui giornali per questa scelta, tutta pubblicità in meno e se il mondo dell’Arte certo non si scompone più di tanto per la prima nomina di un “transgender” a curatore della più importante manifestazione nazionale artistica, la gente comune lo avrebbe fatto.

Tutto questo è stato stranamente evitato, nonostante Farronato abbia anche dato una personale impronta al Padiglione Italia, con la scelta di artisti e curatori dell’allestimento che con lui avevano già collaborato e ne avevano già condiviso l’indirizzo.

E’ il caso dell’artista Chiara Fumai (1978-2017), performer, che con Farronato aveva già collaborato e di cui a Venezia è stato esposto un lavoro postumo.  L’operato della Fumai è da sempre incentrato sulla critica della condizione femminile, le sue posizioni sono sempre state in questo senso estreme, quasi violente, arrivando a scrivere su grandi cartelli la delirante frase: “A male artist is a contradiction in terms”.

Chiara Fumai, performance

Nonostante quindi le provocazioni e le novità del Padiglione Italia per l’occasione allestito in una sorta di labirinto, siano state presenti in numero consistente, non hanno sfondato, non hanno fatto presa se non nelle riviste specializzate. Forse per la qualità delle opere che tanto osannate, non sono state all’altezza delle lodi a loro riservate o forse perché ormai il femminismo e il fenomeno “gender” hanno stancato e non sono più il pensiero principale della cultura globale.

A quella che poteva essere una presentazione leggendaria del Padiglione Italia alla Biennale, c’è da aggiungere che Chiara Fumai già da tempo soffriva di forti crisi depressive nonostante la grande fama internazionale raggiunta ed è morta suicida, impiccata nella galleria Doppelgaenger di Bari nel 2017.

 La scelta del luogo è tragicamente azzeccata, infatti il nome della galleria fa riferimento al mito della morte nella cultura mitteleuropea (illustrato in molti quadri tra cui sono famosi “Colui che vede se stesso” e “Il Profeta” di Egon Schiele).

Chiara Fumai – 58° Biennale di Venezia 2019

Invece, nemmeno quest’altra notizia che potrebbe cinicamente partecipare a rendere clamorosa la sua esposizione a Venezia trasformandola nel suo canto del cigno postumo,  ha avuto effetto.

In altri tempi avrebbe potuto contribuire a formarne un mito della artista ma ad oggi, è lecito pensare che non se ne avverta il bisogno, e che anzi forse della direzione presa dall’Arte italiana non se ne avverte in bisogno.  

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