Godfried Schalcken – Diana E Le Sue Ninfe In Una Radura – 1680/85
L’epoca barocca si sa che fu il tempo in cui si ricercava la posa innovativa, la visione e la composizione mai pensata, la complessità della scena, così anche Godfried Schalcken (1643-1706) pittore olandese si dilettò nel dipingere soggetti particolari e andò anche oltre lo scorcio di luce diretto e forte da squarciare il buio tanto in voga per concentrarsi invece sulla debole luce della candela. I risultati ottenuti sono di certo interessanti, resta famoso infatti per questa sua peculiarità ma a dire il vero, a tutte queste sue opere certo di difficile esecuzione, ne preferiamo alcune dipinte in piena luce o in penombra, dove tutta la sua virtuosità esplode.
Godfried Schalcken fu allievo di Gerard Dou (1613-1675) che a sua volta fu uno dei prediletti di Rembrandt. Viaggiò in Inghilterra, Italia e Germania. Del soggiorno inglese è testimonianza un particolare “Ritratto Di Guglielmo III° D’Inghilterra” illuminato appunto da una luce di candela. Va detto che al tempo, tale rappresentazione doveva essere particolarmente impegnativa, Schalcken tra i molti che dipinse, variò molto di qualità in questo genere.
Tra i suoi soggetti sacri preferiti troviamo la Maddalena, tra quelli mitologici Diana. Di particolare interesse e stupenda fattura è ”Diana E Le Sue Ninfe In Una Radura“ del 1680-85, di quest’opera ce ne sono tre versioni conosciute, di cui solo una è sicuramente autentica, le altre dubbie, probabilmente di allievi. La qualità nei dipinti di Schalcken con più aperta visione, si mantiene invece costante e altissima, qui i corpi rappresentati nella totalità e gli ambienti ben visibili rivelano tutta la sua bravura.
Le anatomie sono spesso particolari e curiose se paragonate a quelle classiche della pittura dell’Europa mediterranea, ma si deve tenere conto che le fisionomie del nord si discostavano, come si discostano ancora da quelle mediterranee. Abbiamo così corpi grandi, con cosce opulente, visi tondi ma piccoli in cima a colli fini, espressioni rubiconde di arrossate guance nella pelle chiarissima. Così è Diana, dipinta splendidamente in controluce, quando nel bosco un raggio di sole buca la vegetazione alle sue spalle facendo brillare l’oro dei suoi capelli e l’incavo dei seni, mentre le ninfe riposano all’ombra di grandi alberi.
In questi quadri dove Schalcken usa una luce naturale, il dettaglio è ricamato ovunque nella penombra, come era solito fare anche il Caravaggio, e se pecca nelle anatomie, invece si distingue per la qualità della resa del panneggio, degli oggetti dorati. La scena sembra quindi brillare anche se è quasi tutta descritta nella penombra, forse per le vesti dorate e sgargianti, quando invece la luce diretta è in verità pochissima, e coglie solo parte della chioma e della spalla della dea e di qualche ninfa.
L’iconografia di Diana è quella classica: dotata di arco e freccia, dai capelli acconciati con un fermaglio a forma di mezza luna e contornata di ninfe che mostrano il corno da caccia e, nascosto tra loro, tengono un segugio.
Si potrebbe a questo punto sottolineare la qualità dei seni procaci, la eccellente descrizione del fogliame, soprattutto nella parte alta a destra dove assume i colori e le forme di una figurazione astratta ma sempre coerente col paesaggio, e dove uno splendido drappo rosaceo posato su un tronco d’albero, stranamente raccoglie tutta l’attenzione della dea.
Si è visto in quest’opera la rappresentazione della descrizione che Ovidio fa di Diana quando, stanca della caccia, si disfa del manto appoggiandolo al tronco, consegna l’arco, l’armatura e i segugi alle cure delle ninfe, e prima di rinfrescarsi si fa annodare le trecce dalla ninfa Crocale, tra tutte la più brava nell’acconciarla, ma in verità i dettagli del quadro sono diversi e colpiscono tra le simbologie, le enigmatiche, minuscole figure, incorniciate dai tronchi che quasi in posizione centrale, paiono a prima vista semplice fogliame.