Gli autoritratti di Van Gogh

Van Gogh – Autoritratto – 1889

Gli autoritratti di Van Gogh

La pittura di Vincent Van Gogh piace a tutti senza essere spiegata, commentata, interpretata, analizzata, semplicemente piace, perché ha colori brillanti, il disegno essenziale ma esatto, arricchito da pennellate che si perdono nello splendore del colore del sole. In realtà per creare quadri così piacevoli e luminosi  Van Gogh studiò molto la luce, creando una sua tecnica rappresentativa che lo ha reso unico. 

Dei suoi soggetti ricordiamo i girasoli nei vasi, i campi sterminati di grano, i paesaggi, i ritratti che faceva agli amici e i suoi molti autoritratti.

Vincent Van Gogh – Autoritratto Dedicato A Gauguin – 1888

Con il cappello che gli serviva per pararsi dal sole nelle lunghe giornate passate a dipingere nei campi, oppure senza ma con la benda che gli fasciava l’orecchio dopo la sua auto mutilazione, oppure provvisto solo della sua barba rossa, in giacca, comunque sempre nella solita inquadratura che gli riprende appena le spalle, Van Gogh si è ritratto più volte, incentrando l’attenzione solo sui giochi dei volumi del volto.

Qualcuno ha visto in questo un’altra delle sue manie, un egocentrismo malsano, altri hanno pensato che si autoritraesse solo perché era il soggetto che più aveva a portata di mano, ma la verità che esce dai suoi lavori è ancora più semplice: Van Gogh ritraendosi studiava, studiava le luci, le ombre, la possibilità di cambiare la colorazione naturale con una più ardita e surreale. In questi studi dipingere un soggetto ben conosciuto e più volte disegnato allo stesso modo aiuta molto, perché permette da subito di concentrare l’attenzione sui colori.

Praticamente tutta la pittura di Van Gogh è uno studio sull’esaltazione dell’uso del colore.

Van Gogh usava pochissimo il nero, spesso lo usava solo per il disegno di contorno. In quel periodo in Europa si era diffusa la moda arrivata dall’oriente di usare una riga nera evidente per il contorno delle figure, anche Lautrec, Schiele, Modigliani, Picasso usarono questa caratteristica. Van Gogh usava invece tutti gli altri colori dello spettro dell’arcobaleno in dosi massicce, sia nella luce che nell’ombra, anche dove in natura non c’erano, o non erano evidenti.  

Vincent Van Gogh – Autoritratto – 1887

Lo studio di Van Gogh si basava proprio su questo uso del colore innaturale che già nel 1600 era stato iniziato seriamente da Vermeer. Il pittore fiammingo aveva notato che rendendo le ombre con colori chiari e freddi, si otteneva la stessa sensazione di tridimensionalità ma il quadro appariva più luminoso. Vermeer si era soffermato però all’uso di velature verde o azzurrine, nelle vesti, nelle parti in ombra della pelle, quasi come se fossero riflessi particolari di luce.

 L’altro pittore che affascinò Van Gogh fu Millet, di cui copiò diversi soggetti e di cui soprattutto studiò molto il quadro “L’Angelus”, dove appunto i colori della luce del tramonto si fondevano con quelli naturali, contaminandoli, sostituendoli in un tripudio di luci innaturali che illuminavano anche le ombre.

Vincent Van Gogh – Autoritratto – 1889

Parallelamente alla pittura ripetuta delle sue scarpe, Van Gogh dipingeva autoritratti e progressivamente scopriva una nuova colorazione da adottare in modo da costruire un linguaggio logico per la figurazione, che ne esaltasse le luci , le ombre, le sfumature, che fosse innaturalmente luminoso anche nelle parti scure dei soggetti ma rappresentativamente e tridimensionalmente perfetto.

Arriviamo così l’autoritratto del 1888 dedicato a Gauguin dove le tinte verdognole ricordano ancora molto quelle di Vermeer e la pelle sembra brillare, tanta è la luminosità delle pennellate che descrivono perfettamente le tenui ombre senza il ricorso a toni scuri. Ma è soprattutto nell’”Autoritratto Con Cappello” del 1887 che si vede, nella grossa trama delle pennellate, lo studio dei colori applicati nell’ombra con una logica che esula dalla reale colorazione per tuffarsi nell’enfatizzazione della tavolozza con castani ma soprattutto rossi, mentre nella barba spuntano inaspettati fili verdi tra i gialli e gli aranci per creare la profondità necessaria.

La costruzione cromatica di Van Gogh  che sembra frutto di genio o pazzia, è in realtà logicamente ben architettata, tanto da non farci accorgere di quei colori che dovrebbero formare accostamenti assurdi e chiaramente artificiali. Il quadro invece assume una omogeneità inaspettata e caratterizzante, le angolature del viso sono perfettamente ricreate, le luci brillano e soprattutto anche le ombre contribuiscono a illuminare le tele.

John Russell – Ritratto Di Vincent Van Gogh – 1886

Van Gogh non fu capito soprattutto dagli acquirenti, il suo modo di intendere la pittura presupponeva menti illuminate più di quanto quel periodo di fine ’800 avesse prodotto. I grandi artisti Impressionisti  Lautrec, Gauguin , Monet, Pissarro, Bernard, lo osannarono come un maestro e perfino il pittore australiano John Russell (1858 – 1930) nel suo viaggio di studio in Europa volle conoscerlo e infine ottenne di farlo posare per un ritratto che forse è uno dei più interessanti e veritieri fatti all’artista olandese.    

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