Antonio Bueno è conosciuto al grande pubblico soprattutto per la serie di ritratti di personaggi paffuti, dai delicati colori pastello sapientemente sfumati con la sensibilità che lo caratterizza, ma la sua produzione è stata più varia, tanto da poterlo identificare come uno dei più grandi pittori del secolo passato e definito anche da Giorgio de Chirico “tra i dieci migliori pittori da lui conosciuti”.
Nato nel 1918 dal padre Javier di origine spagnola, assieme al fratello Xavier (1915-1979) si dimostrò subito artista di grande talento. Crebbe in spagna, studiò pittura in Svizzera, poi si trasferì in Italia dove iniziò a fare mostre.
Da sempre schierato politicamente a sinistra e contro la guerra, ottenne l’esenzione militare perché cittadino spagnolo, restò a Firenze anche dopo l’inizio della Seconda Guerra Mondiale e strinse amicizie con gli antifascisti, tra cui Annigoni (1910-1988).
Anche se il suo percorso artistico non si interruppe mai, con un incessante susseguirsi di mostre personali, inviti a grandi eventi, a varie Biennali di Venezia, alla Quadriennale di Roma, fino a che pittore affermato varcò definitivamente la frontiera e l’oceano, in realtà in principio faticò nell’affermarsi sul mercato.
I suoi dipinti fino al ’49 ce lo mostrano impegnato in una pittura classica, con abbondanza di autoritratti, nature morte, dove già spiccano capolavori assoluti come “Nudo Con Fiori“ del 1947, “Doppio Autoritratto” del 1944.
In seguito si avviò verso la sperimentazione con una persistente fissazione per le pipe in gesso (che lui fumava assieme al fratello fin dai tempi della scuola), che lo porterà ad una pittura sull’orlo della Metafisica, ma anche a brevi esplorazioni verso l’Astrazione.
Le sue pipe che prima si affacciavano timidamente nei quadri, nelle nature morte, dipinte sapientemente rotondeggianti nelle tonalità di bianco, cominciarono ad affollare le tele, in fila, in ordine sparso, uniche protagoniste.
E’ evidente il fascino esercitato su di lui da questa raggiunta tridimensionalità dell’ovale candido, nella tela bidimensionale, tanto che ne influenzerà anche la ritrattistica parallelamente, da sempre coltivata, fino ad immedesimare i suoi personaggi ritratti, nella forma della pipa di gesso da lui tanto amata.
Inizia così a dipingere le figure di donna, marinaretto, torero, dal volto ovale, che appunto ricorda la forma del caminetto di una pipa di gesso, dove i lineamenti sono ristretti al centro e rappresentati quasi come un incidente sulla superficie perfettamente rotonda, levigata e chiara. Non manca in questi anni il continuo ricorso alla rappresentazione di stupende nature morte“, veri capolavori, isole all’interno di quello che diverrà il suo percorso, orientato verso lo studio della tenue modulazione dei toni.
Con questa serie di quadri, spesso di misure ridotte, Antonio Bueno acquista una fama conclamata e anche se dipingerà altri capolavori forse più interessanti di diverso stile, verrà identificato in campo artistico soprattutto per i suoi delicati ritratti a mezzo busto dalla faccia caratteristicamente rotondeggiante.
Nel 1973 iniziò la serie dei “D’Apres” con un omaggio a Picasso. In queste opere Bueno si confronta con i grandi classici del passato: Picasso, Leonardo, Giorgione, Ingres ed altri, introducendo i suoi paffuti visi all’interno dei loro quadri o estrapolandone alcuni soggetti e reintroducendoli in ambienti e situazioni nuove, mantenendo la sua tecnica finissima tanto da competere con i maestri in questione.
La sua fama crescente lo portò a presidiare eventi ovunque a cui prendevano parte altri artisti, letterati, scrittori, fino alla morte che lo colse a Fiesole nel 1984, dopo una breve ma straziante malattia, si dice provocata da avvelenamento da colore e dalla sua usuale pratica di sfumarlo con le dita.
Se sia stata veramente questa la causa della malattia non è certo, ma anche questo tragico dettaglio contribuisce a fare di lui un personaggio mitico all’interno del panorama artistico italiano del secolo scorso.