Andrey Zignatto è un artista brasiliano del 1981 di Jundiaì nei pressi di Rio.
Negli ultimi anni manifesta, come spinto dall’animo di un carpentiere, una predilezione per il materiale edilizio, una sensibilità particolare per le costruzioni ma più in particolare per i mattoni, i foratini, i blocchi di terracotta rossa che servono per costruire muri, soffitte, fondamenta delle nostre case.
La sua espressione è il paradosso di questo materiale. Così rigido, creato per esserlo anche se leggero e adatto al suo accumularsi, il mattone di Zignatto diventa centro delle sue opere, protagonista assoluto come del resto lo è silenzioso nella vita di tutti noi. I nostri muri, le nostre abitazioni sono costituiti di quei parallelepipedi che ad osservarli sembrano forse fragili, dalle pareti sottili e le ampie cavità vuote, sono in realtà un elemento essenziale di tutta l’architettura su cui noi basiamo la nostra esistenza, che inevitabilmente ci circonda quotidianamente.
Il presupposto di Zignatto è la visione del mattone quale simbolica cellula di un costruito organismo, una trasfigurazione materiale del concetto di struttura sociale e dei suoi componenti.
Pignatte si curvano come elementi minimalisti assoggettati alla forza creatrice e sorvegliati dalla rigidità del filo a piombo.
L’oggetto “mattone” trascurato ma da sempre cardine dell’edilizia, in Zignatto si presta a costruzioni di cui però la trasformazione metafisica e surreale diventa una costante. Malleabile, sembra sciogliersi e distaccarsi in parti fluidi da blocchi preesistenti. Ondulante, si piega come un lenzuolo steso che ha per trame non fili ma calce.
Appeso al muro, mostra la sua anatomia come in uno spellato cinquecentesco dei disegni di Leonardo da Vinci. Tagliato a fettine, Zignatto lo appende al muro come alimento, quale soggetto in una improbabile “natura morta”.