Salvator Mundi – Attribuito a Leonardo da Vinci – Parte 1

Salvator Mundi – Attribuito a Leonardo da Vinci – Parte 1

Salvator Mundi – Attribuito a Leonardo Da Vinci – 1490/1519

La storia

Il “Salvator Mundi”, olio su tavola datato all’incirca 1490/1519 di 65,6×45,4cm, è uno di quei quadri che apre dibattiti e fa fremere le penne fra le dita di critici e storici dell’Arte, sia  per la sua complessa storia, sia per la sua attribuzione, da sempre accostata al nome di Leonardo Da Vinci.

Rinvenuto alla fine dell’’800 nella prestigiosa collezione londinese di Francis Cook 1° Visconte di Montserrate, era considerato fino ad allora pregevole opera di scuola leonardesca. In seguito fu rivalutato e  promosso ad opera del tutto frutto di Leonardo Da Vinci, certo moltiplicando in modo esponenziale il suo valore per la gioia dell’ultimo acquirente.

L’aspetto economico in questi casi non è da trascurare, è infatti legittimo avere cattivi pensieri e si può arrivare a sospettare che il nuovo proprietario possa aver avuto maggiore influenza o maggiori capitali, in modo da riuscire ad accaparrarsi le stimate simpatie di noti periti che hanno spinto per la nuova attribuzione. I pareri contrari di alcuni autorevoli storici dell’Arte però non si sono mai sopiti, ma è un dato di fatto che le perizie sui colori hanno dato riscontro positivo rispetto a quelli usati nello stesso periodo da Leonardo, il dipinto quindi non solo è sicuramente autentico e di scuola leonardesca ma è anche fatto con i colori che il maestro si preparava.

Il “Salvator Mundi” è diventato quindi un altro ennesimo “enigma leonardesco”, suscitando il consueto clamore a livello mondiale che accompagna le opere più famose del Da Vinci.   

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Salvator Mundi – Attribuito a Leonardo Da Vinci (particolare) – 1490/1519

I presupposti per un nuovo capolavoro leggendario ci sono tutti, non solo una storia complicata che si intreccia con la guerra civile inglese ma anche le controversie e le contestazioni all’attribuzione dovute a rimaneggiamenti e cattivi restauri posteriori che per secoli ne hanno alterato l’aspetto.  Infatti l’opera è pervenuta in mani di restauratori esperti solo recentemente e quindi solo da poco si è scoperto che alcuni particolari, ad esempio gli occhi e la barba, hanno subito ritocchi non appropriati e deleteri. In realtà l’intera superficie fu ricoperta di vari materiali, quindi è abbastanza giustificabile il fatto che solo recentemente, dopo una pulizia appropriata sia venuta alla luce in tutta evidenza la mano del maestro di Vinci.

Il “Cristo Benedicente” è un soggetto presente nell’iconografia cristiana già dal tempo delle icone bizantine, ed è certo dagli inventari che anche nella bottega di Leonardo, in quel periodo sia lui che i suoi allievi ne ritraevano la posa perché era  ritornata in voga.  

Le prime documentazioni precise del quadro, risalgono alla metà del ‘600, quando Wenceslaus Hollar (1607-1677), noto incisore cecoslovacco spostatosi a Londra, ne fece copia, forse dietro richiesta della regina Henriette Maria che pare avesse l’originale “Salvator Mundi” esposto nella Queen House.

Leonardo Da Vinci – Grottesche, inchiostro su carta – 1484 /
Wenceslaus Hollar – Incisione su disegno di Leonardo con iscrizioni In basso a destra “Leonardus da Vinci sic olim delineavit – Holland fecit 1646.”

E’ possibile che la regina abbia avuto il dipinto da Lord Arundel, importatore di opere d’Arte presso cui anche Hollar lavorava facendo stampe e copie. Lord Arundel  a sua volta lo avrebbe acquistato qualche decina di anni dopo la morte del Da Vinci, quando il figlio dell’allievo Francesco Melzi vendette le molte opere di bottega infine ereditate. E’ anche possibile che sia pervenuto come regalo di nozze alla regina, visto che era di origine francese, in questo caso Leonardo lo avrebbe dipinto durante il suo soggiorno in Francia negli ultimi anni della sua vita.   

Hollar era artista apprezzato in Inghilterra, fu nominato anche insegnante di disegno del figlio del re. Frequentatore assiduo della corte, fece varie incisioni della regina ed ebbe modo di fare moltissime stampe di quadri pervenuti da tutta Europa tra cui Tiziano, Rubens, Van Eyck, Van Dick, Rembrandt e vari disegni di Leonardo. Il lavoro di Hollar nell’attribuzione del “Salvator Mundi” è importante, perché era solito appuntare su ogni incisione il titolo e l’autore dell’opera originale. Sul suo “Salvator Mundi” è scritto:

“Leonardus da Vinci pixit, Venceslaus Hollar fecit aqua forti, secundum originale, Ao. 1650”.

Wenceslaus Hollar – Salvator Mundi, acquaforte – 1650

Se ne deduce che l’incisore a quel tempo era sicuro dell’originalità.

La stampa con la didascalia è conservata al museo di Windsor, dove ci sono anche due studi per i drappeggi del braccio destro del “Cristo Benedicente” originali di Leonardo. La vita di corte di Hollar finì con l’inizio della guerra civile e l’espatrio della famiglia reale. Henriette Maria si rifugiò in Francia, al ritorno nel 1651 è probabile che riportò con sè l’opera leonardesca, se ne ha documentazione certa che fu battuta all’asta, strappata dai rivoluzionari alla collezione reale. 

 Nel secolo scorso il “Salvator Mundi” riapparse nella collezione di sir Francis Cook, fu venduto al barone di Lairenty e successivamente al marchese De Ganay.

Le cattive condizioni e le successive manipolazioni pittoriche hanno inizialmente fatto pensare che l’opera non fosse di Leonardo ma una copia di un suo originale e fu attribuita a uno degli  allievi più dotati tra Francesco Melzi, Boltraffio e Marco D’Oggiono. Nel 2010 l’opera restaurata è stata portata alla National Gallery dove è stata esaminata e attribuita a Leonardo, da qui in poi è stata più volte acquistata con valore sempre crescente fino al suo attuale proprietario che l’ha pagata la cifra record di 450,3 milioni di dollari. Attualmente è in una collezione privata di Abu Dhabi. 

Si potrebbe obbiettare che l’incisione di Hollar e quindi i molti documenti relativi su cui si basa l’attribuzione storiografica del “Salvator Mundi” possano essere smentiti da una non straordinaria somiglianza tra le due opere, ma si deve tenere presente varie cose per giustificare questa eventualità.

E’ infatti possibile che l’incisore cecoslovacco abbia creato la sua copia all’Acquaforte non direttamente dalla visione del dipinto ma da un disegno che avrebbe fatto precedentemente. Questo “modus operandi” non era nuovo a Hollar e giustificherebbe la data del 1650 riportata nell’incisione, anno in cui era ad Anversa dove stampò molte altre copie di opere riprese da disegni che aveva fatto vari anni prima. inoltre, c’è da tenere presente che il “Salvator Mundi” prima dell’ultimo restauro si presentava in modo molto diverso e più simile alla copia incisoria di Hollar, ne è prova una foto in bianco e nero del 1912.

Salvator Mundi – Foto del 1912

Infine bisogna considerare che il processo di stampa restituisce sempre un disegno speculare dell’incisione e quindi Hollar, per far sì che la sua opera non fosse una visione di questo tipo, l’ha dovuta incidere al contrario. In questa difficile prova è auspicabile che la somiglianza si sia affievolita.


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